venerdì 27 maggio 2011

L'alba del fotovoltaico

Energia & Ambiente, anno 1, numero 2, p. 90-92 (maggio 2011)

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

In questo 2011 si comprano e si vendono impianti fotovoltaici come si comprerebbero automobili o cucine, ma il cammino che ha portato allo sviluppo di questo settore industriale è stato lungo ed è cominciato addirittura quasi due secoli fa. Nel 1839 il fisico francese Alexandre Edmond Becquerel (1820-1891) [figlio di Antoine Cesar Becquerel (1788-1878) e padre di Henri Becquerel (1852-1908), quest’ultimo scopritore della radioattività, una generazione di fisici illustri] studiando il passaggio di corrente fra due lamine di platino immerse in una soluzione del cloruro dello stesso metallo, osservò che la corrente aumentava se una delle due lamine era esposta alla luce e l’altra era coperta. I risultati di questo esperimento furono pubblicati col titolo: “Sugli effetti elettrici della radiazione solare”, nei Comptes Rendu de l’Académie des Sciences di Parigi, vol. 9, pagine 561-567 del 2 novembre 1839.  http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k2968p/f561.chemindefer

Un esperimento simile fu condotto da Antonio Pacinotti (1841-1912), figlio di Luigi Pacinotti (1807-1891). Antonio aveva partecipato, diciottenne, con il battaglione di volontari pisani alle battaglie di Solferino e San Martino nel 1859; si era poi dedicato a ricerche di fisica e nello stesso 1859 descrisse gli esperimenti con l”anello rotante” che sarebbe stato alla base dell’invenzione della dinamo, una delle più rivoluzionarie macchine della società industriale. Contemporaneamente condusse ricerche sull’effetto fotoelettrico e sull’utilizzazione dell’energia solare; in uno di questi esperimenti Pacinotti immerse due lastre di rame in una soluzione di solfato di rame esponendo una delle due lastre alla radiazione solare e tenendo l’altra in ombra. Fra le due lastre osservò una corrente elettrica; lo stesso esperimento, condotto facendo cadere sulla lastra radiazioni di diversa lunghezza d’onda, ottenute facendo passare la luce solare attraverso un prisma, mostrò che la corrente elettrica generata era maggiore con la radiazione blu e minore con la radiazione rossa. Pacinotti, appena ventiduenne, pubblicò i risultati dei suoi studi sull’effetto fotoelettrico in due articoli intitolati, “Correnti elettriche generate dal calorico e dalla luce”, nella rivista Nuovo Cimento, vol. 18, p. 373, del 1863, e vol. 19, p. 234, del 1864.

“Carissimo Babbo”; l’archivio di Pacinotti, pubblicato nel 1934 in due rari volumi: “Antonio Pacinotti. La vita e l’opere”, con prefazione di Guglielmo Marconi, contiene varie lettere scritte, dal 1863 in avanti, al padre Luigi per tenerlo al corrente dei progressi delle sue ricerche e di varie idee sull’utilizzazione dell’energia solare non solo come fonte di elettricità, ma anche come fonte di calore e di energia meccanica e per la distillazione dell’acqua. Un riassunto di queste considerazioni è contenuto in una conferenza fatta alla Società Agraria di Bologna nel 1870. E’ curioso che in tutte le storie della fotoelettricità e dell’utilizzazione dell’energia solare i contributi e le idee di Pacinotti non siano quasi mai citate, forse perché pubblicate in riviste a limitata circolazione, nei primi anni del Regno d’Italia, appena nato nel 1861.

Una svolta importante verso la moderna utilizzazione dell’energia solare come fonte di elettricità si ebbe nel 1873 ad opera di Willoughby Smith (1828-1891), un impiegato di una fabbrica chimica che lavorava la guttaperca, una gomma elastica estratta da piante dell'Indonesia, dotata di buone proprietà isolanti dell'elettricità e buona resistenza all'acqua. Coprendo dei fili di rame con questa guttaperca la società di Smith fabbricò i primi cavi elettrici che potevano essere immersi nel mare, adatti quindi alle trasmissioni telegrafiche sottomarine; il primo, lungo 50 chilometri, collegò nel 1850 Dover in Inghilterra con Calais in Francia; poco dopo simili cavi sottomarini avrebbero collegato l’Europa con l’America.

Ma Willoughby Smith era anche un attento osservatore: per le prove di isolamento, durante l'immersione dei cavi telegrafici sottomarini, Smith usò delle barrette di selenio metallico, considerato un cattivo conduttore dell'elettricità, e così scoprì che le barrette di selenio, esposte alla luce del Sole, diventavano, sia pure limitatamente, conduttrici di elettricità. Smith pubblicò queste osservazioni nella rivista Nature del 20 febbraio 1873 e, col titolo: “Curious effect of light on selenium”, nella rivista Scientific American del 29 marzo 1873.

Colpiti da questo ”curioso effetto” altri due inglesi, William G. Adams (1836-1915) e il suo studente R.E. Day, scoprirono che nel selenio esposto alla luce addirittura si generava una corrente elettrica che cessava quando la superficie di selenio era tenuta al buio e chiamarono questo fenomeno "fotoelettricità". I risultati dei loro esperimenti furono esposti in un articolo, “The action of light on selenium”, pubblicato nei Proceedings of the Royal Society of London, volume A 25, pagina 113-117, giugno 1876.

La prima vera e propria cella fotovoltaica fu realizzata poco dopo dall’inventore americano Charles E. Fritts nel 1883: un sottile strato di selenio, ricoperto da un sottile strato d’oro, quando era esposto sia alla luce solare, sia alla luce artificiale, produceva una corrente elettrica con un rendimento dell’1%. Fritts pubblicò questi risultati in un articolo: “A form of selenium cells”, pubblicato in American Journal of Science, volume 26, pagine 465-472, dicembre 1883, e mandò una delle sue celle fotovoltaiche al fisico tedesco Werner von Siemens (1816-1892), che pubblicò nel 1885 un articolo "Sulla forza elettrica generata dal selenio esposto alla luce, scoperta dal sig. Fritts di New York" nella rivista The Electrical World.

Notevoli progressi furono fatti quando anche gli scienziati si dedicarono a fondo alla comprensione delle basi fisiche della fotoelettricità. Si possono ricordare le ricerche del 1887 del fisico Heinrich Hertz (1857-1894), quelle del 1888 di Wilhelm Hallwachs (1859-1922), al quale si deve, anni dopo, la sperimentazione di una cella a giunzione rame/ossido di rame, quelle degli anni 1888-1891 del russo Aleksandr Stoletov (1839-1896) che nel 1894 studiò l’effetto fotovoltaico della radiazione ultravioletta.

Negli stessi anni sono state condotte ricerche su celle solari funzionanti con l’effetto termoelettrico, un capitolo a parte su cui merita ritornare in futuro. Si possono ricordare due brevetti USA 389.124 e 389.125 assegnati nel 1888 al chimico americano Edward Weston (1850-1936), lo stesso delle pile Weston; due brevetti USA numero 527.377 e 527.379 assegnati nel 1894, per un’invenzione denominata “Apparatus for generating electricity by solar heat”, a Melvin L. Severy (1863-1951), singolare figura di ingegnere, scrittore, musicista e inventore di un clavicembalo elettrico; e il brevetto USA 588.177 del 1897 assegnato a Harry Reagan. Alcuni di questi si trovano in Internet.

Il problema delle fotocelle solari attrasse l’attenzione anche della fertile mente di Nikola Tesla (1856-1943) che nel 1901 ottenne due brevetti USA numero 685.957 e 685.958 per invenzioni, rispettivamente, intitolate: “Apparatus for the utilization of radiant energy”, e “Method of utilizing radiant energy”. Al 1902 risale l’osservazione che l’effetto fotoelettrico varia con la lunghezza d’onda della luce (come, sia pure qualitativamente, aveva osservato Pacinotti) fatta dal controverso fisico tedesco Philipp von Lenard (1862-1947) che offuscò alcuni importanti contributi di fisica con una isterica contestazione di Roentgen e di Einstein e con una adesione al nazismo e alla folle teoria della “fisica tedesca”.

Il lungo cammino per la comprensione del fenomeno della fotoelettricità ebbe una svolta nel 1904 quando Albert Einstein (1879-1955) spiegò che la luce "contiene" dei fotoni dotati di energia, i quali mettono in moto gli elettroni all'interno di alcuni materiali come il selenio e, si vide in seguito, il silicio e altri ancora. Per questo celebre lavoro Einstein ottenne il premio Nobel per la fisica nel 1921.

Le invenzioni si succedono con William W. Coblenz (1873-1942), noto fisico americano, che ottenne il brevetto USA 1.077.219, del 28 ottobre 1913, per una “Solar cell”, e con lo svedese Sven Ason Berglund (1881-1937) che nel 1914 brevettò un “Metodo per aumentare il rendimento delle celle fotosensibili”.

Le celle fotovoltaiche al selenio, pur avendo un rendimento molto basso, di poche unità percento di energia rispetto all’intensità della radiazione incidente, ebbero un certo successo commerciale per esempio per il comando a distanza delle porte scorrevoli, per gli esposimetri delle macchine fotografiche, per strumenti di misura dell’intensità della radiazione solare.

Una svolta importante si ebbe con le ricerche del chimico fisico francese René Audubert (1892-1954) e di Cécile Stora sull’effetto fotoelettrico del solfuro di cadmio (curiosamente in alcune “storie” del fotovoltaico questo evento è attribuito a ”Audobert e Stora” e al seleniuro di cadmio). Il loro studio fu pubblicato col titolo “Proprietes photovoltaique du sulfure de cadmium”, nei Comptes Rendu de l’Académie des Sciences, vol. 194, pagine 1126-1124 (marzo 1932); il testo è disponibile in Internet.

Ormai ci stiamo avvicinando all’età del silicio che nacque il 6 marzo 1940 quando Russell Ohl (1898-1987), un tecnico della società telefonica Bell, scoprì la formazione di una corrente elettrica quando un campione di silicio, che presentava alcune discontinuità e impurità, era esposto alla luce solare. A questa scoperta fu assegnato il brevetto USA “Light sensitive electric device,” depositato il 27 maggio 1941 e concesso il 25 giugno 1946. L’invenzione fu perfezionata negli anni successivi con la tecnica per creare nel silicio delle “giunzioni p-n” ad opera di Daryl Chapin (1906-1995), Calvin Fuller (1902-1994) e Gerald Pearson (1905-1987).

La scoperta dei semiconduttori a base di silicio hanno reso possibili, oltre alle celle fotovoltaiche che oggi producono miliardi di chilowattora di elettricità all’anno nel mondo, anche i transistor che hanno reso possibili i calcolatori elettronici. La preparazione di silicio ultrapuro per tali applicazioni richiedeva altre innovazioni, questa volta di chimica industriale. La materia prima è la silice della sabbia che viene trattata in forno elettrico con carbone: il silicio impuro così ottenuto è trattato con cloro che trasforma il silicio in triclorosilano che può essere facilmente purificato e viene ritrasformato, per trattamento con idrogeno, in silicio. Questo che viene ulteriormente purificato, con una tecnica inventata nel 1918 dal fisico polacco Jan Czochralski (1885-1953)(giustamente onorato in Polonia fra i grandi scienziati di quel paese), per fusione entro un crogiolo di quarzo rotante sulla cui superficie viene "appoggiato" un cristallo di silicio purissimo; su tale cristallo si deposita e solidifica il silicio fuso. Lentamente la barretta così formata viene sollevata e aumenta di volume fino a diventare un grosso cilindro da cui vengono tagliate le fettine su cui sono stampati i circuiti elettronici.

Ma questo è storia di oggi e di domani, insieme a quella di altri semiconduttori a base di tellururo di cadmio, di arseniuro di gallio, di seleniuro di rame, indio e stagno, e altri ancora. Le brevi considerazioni precedenti servono solo a ricordare che niente di quello che abbiamo oggi sarebbe stato possibile senza il contributo talvolta glorificato, ma spesso dimenticato e ignorato, di tante persone che ci hanno preceduto. Almeno un grazie !

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