Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
1. "I'm proud to be a farmer"
"Contadino" è, per alcune persone, parola offensiva, a differenza di altre riferite ad arti o mestieri. Nessuna madre avrebbe perplessità se la figlia intendesse sposare un "bancario", "tipografo", "meccanico", ma alcune storcerebbero il naso se il candidato fosse un "contadino". Questo stato di cose deriva forse dalla nascita della nostra società, essenzialmente nei borghi, per cui una persona è "cittadino" se vive dentro il borgo e, se vive fuori dal borgo, è un contadino, qualcosa di "inferiore".
Poche idee sono così stupide. Ricordo di avere visto, in alcune abitazioni americane --- di quell'America che non è New York, o Las Vegas, ma una sterminata estensione di campi, fattorie, fabbriche, case mobili, boschi --- un cartello con scritto "Sono orgoglioso di essere un agricoltore". Il padrone di casa aveva ben motivo di esserne orgoglioso perché l'agricoltura e chi vi lavora rappresentano il grande motore della più grande fabbrica di beni indispensabili per la nostra vita.
Non date retta all'esaltazione per le vendite di telefoni cellulari, computer, televisori, automobili da corsa e lussuosi panfili, eccetera, perché nessuno di questi oggetti potrebbe essere "goduto" se alcuni milioni di persone --- alcuni milioni in Italia, molte centinaia di milioni nel mondo --- non faticassero per noi sotto il sole cocente o nel freddo degli inverni innevati, per assicurarci il rifornimento di grano e patate, zucchero e pomodori, frutta e carne, bevande e medicine, grazie ai quali ciascuno di noi sopravvive. Ma anche di altre materie, la cellulosa per la carta, ingredienti per l'industria chimica, oli industriali, eccetera. La massa delle materie estratte dai campi e dai boschi è superiore, in milioni di tonnellate all'anno, alla massa del petrolio, dei minerali metallici, dei macchinari che attraversano ogni anno l'economia di un paese industriale come l'Italia..
Purtroppo queste considerazioni sono assenti non solo nei grandi mezzi di comunicazione, nelle scuole, ma nella cultura del paese, dominata da avvocati, letterati, giornalisti, umanisti. Eppure ce ne sarebbero di occasioni per spiegare, anzi per raccontare, l'agricoltura e le sue meraviglie. A cominciare dalla storia: la nostra condizione umana moderna è cominciata, diecimila anni fa, quando alcuni nostri predecessori si sono stancati di camminare per cercare bacche, frutti, radici e di correre dietro agli animali per ricavarne la carne, e si sono accorti che alcune piante potevano essere coltivate e che alcuni animali potevano essere allevati: è stata questa la "rivoluzione agricola", all'inizio del Neolitico, che ha generato il concetto di proprietà (il campo è mio, la mucca è mia), la divisione del lavoro (chi possiede i campi e chi li lavora) e quindi la divisione in classi, la tecnologia di conservazione degli alimenti col fuoco e col sale, la nascita dei commerci internazionali (globalizzati anche allora) alla ricerca di sale e di spezie, eccetera.
Da quei lontani tempi la superficie della Terra è stata modellata e disegnata per trasformare le paludi in terre fertili, per migliorare le rese agricole, la tecnica è stata usata per conoscere e trasformare i prodotti dei campi e delle foreste.
2. La fabbrica dell'agricoltura
La "fabbrica" dell'agricoltura funziona partendo dai gas dell'atmosfera e dai sali del terreno, per "produrre" (gli ecologi chiamano bene "produttori" gli organismi vegetali autotrofi) una enorme varietà di molecole: carboidrati, grassi, proteine. Ed entro ciascuna "classe" di molecole la natura si sbizzarrisce, in ogni pianta, a offrire varietà e sostanze la cui conoscenza è ancora purtroppo in gran parte incompleta.
L'agricoltura "economica" utilizza, a ben pensare, soltanto un numero molto limitato delle ricchezze della natura, quelle per cui esiste un mercato commerciale immediato o tradizionale: eppure se si esplorassero appena un poco le sostanze vegetali presenti anche in piante minori, per il loro potenziale interesse commerciale, si scoprirebbero numerose occasioni di produzione industriale, di ricerca, di lavoro.
L'agricoltura continua il suo ciclo nella zootecnia, in quegli organismi "consumatori" che trasformano le sostanze organiche vegetali in sostanze organiche animali, in proteine alimentari pregiate, ma anche in altre preziose molecole, presenti nelle parti degli animali che spesso sono gettate via come scarti per mancanza di una cultura della chimica delle sostanze naturali. La chimica dei prodotti sintetici derivati dal petrolio ha come isterilito la fantasia e la curiosità dei naturalisti e dei chimici nei confronti dei prodotti zootecnici, oltre che agricoli.
Per la maggior parte delle persone il legno è quello dei tavoli, o dei pannelli truciolari, o la fonte di cellulosa per la carta o per vari tipi di rayon. Ma in realtà in ciascun albero si trovano numerose sostanze come le cellulose (al plurale), emicellulose, lignine, tannini, eccetera, alcune delle quali hanno, in passato, alimentato attività industriali e potrebbero essere utilizzate in futuro per molte altre.
3. La natura come fonte di materie prime e merci
Attraverso una lenta e attenta opera di scelta, i nostri predecessori hanno identificato, per tentativi ed errori, le piante nutritive, quelle curative e aromatiche, quelle che erano in grado di fornire merci sempre più raffinate e diversificate come combustibili, prodotti chimici industriali, coloranti, fibre tessili, pellami, legnami per case, navi e ponti, eccetera.
Nella biosfera sono presenti milioni di specie vegetali e animali, la cui massa ammonta a miliardi di tonnellate, con un continuo processo di rinnovamento attraverso i cicli chiusi dei produttori--->consumatori--->decompositori e con una produzione primaria netta, sulle sole terre emerse, di circa cento miliardi di tonnellate all'anno, materie che ogni anno tornano puntualmente, rinnovabili.
Nonostante la grandissima varietà e ricchezza della natura, le specie di piante e animali di interesse "economico" sono limitate a poche centinaia e sono aumentate di poco anche dopo la scoperta, da parte degli Europei, di "nuovi mondi": il continente americano, quello africano e i paesi dell'oriente asiatico.
L'importanza commerciale di alcuni dei prodotti offerti dalla natura ha fatto crescere la curiosità per i loro caratteri e composizione: si può ben dire che "la chimica" è nata come chimica delle sostanze naturali. A mano a mano che aumentava la richiesta di merci e per rompere il monopolio che di esse avevano alcuni paesi che possedevano le colonie da cui tali merci venivano, è nato un vasto movimento scientifico per la riproduzione artificiale di molte di tali merci e per l'invenzione di "surrogati".
La "rivoluzione sintetica", cominciata nei primi decenni del XIX secolo, ha fatto sì che oggi, ad eccezione dei prodotti alimentari, almeno l'ottanta per cento degli oltre venti miliardi di tonnellate di merci consumate ogni anno sulla Terra sia di origine "non biologica" (anche se le materie prime fossili, carbone, petrolio, gas naturale, a rigore sono di pur lontana origine biologica).
Le condizioni geopolitiche ed i conflitti che hanno escluso alcuni paesi dall'accesso ad alcune materie prime (si pensi all'autarchia nei periodi sovietico, fascista e nazista); o le occasionali eccedenze di prodotti agricoli (nel periodo della grande crisi negli Stati Uniti); o il temporaneo aumento di prezzo e scarsità di alcune materie prime (durante la "crisi petrolifera" degli anni settanta del secolo scorso), hanno indotto di tanto in tanto a riesaminare le risorse biologiche come fonti di materie prime e di merci; nel complesso, però, nel corso degli ultimi decenni si sono perdute conoscenze tecniche, sementi, colture batteriche, per cui diventa sempre più difficile una resurrezione di iniziative industriali basate su molte tecniche che erano importanti in passato. Sembra tuttavia possibile riconoscere alcune nuove tendenze.
La prima consiste nella crescente attenzione per gli effetti ambientali negativi delle attuali merci: molte merci sintetiche derivate dal petrolio, salutate, alla loro comparsa, come mezzi per "liberarsi" dalla schiavitù della natura, ritenute progettabili e modificabili a piacere, non sono biodegradabili, restano a lungo inalterate dopo l'uso e creano problemi di smaltimento. Molte altre merci sintetiche (coloranti, pesticidi, additivi) si sono rivelate dannose per la salute umana e per gli ecosistemi naturali, al punto da indurre l'abbandono dei "nuovi" prodotti per tornare ai prodotti naturali. Uno dei casi più noti è quello dell'insetticida sintetico DDT, che aveva soppiantato i pesticidi a base di derivati del piretro e che, dopo alcuni anni, è stato vietato e si è dovuto di nuovo ricorrere agli stessi derivati del piretro.
La seconda tendenza deriva dal fatto che la produzione delle merci sintetiche è possibile soltanto in impianti ad alta tecnologia e concentrazione di capitale e di conoscenze, quali sono disponibili soltanto nei paesi industrializzati. Tali merci sono accessibili ai paesi del Sud del mondo soltanto se essi accettano una posizione neocoloniale dominata dal capitale internazionale.
Vi sono segni di una crescente insofferenza verso questa prospettiva e di una crescente attenzione per le merci che possono essere ottenute dalle grandi risorse naturali di origine biologica e continuamente rinnovabili, che molti paesi del Sud del mondo possiedono, con impianti costruiti e funzionanti sul posto. Le pubblicazioni della FAO e di altri organismi internazionali indicano chiaramente questa tendenza.
4. Uno sguardo al futuro
A favore della nascita o della rinascita di attività associate all'agricoltura, alle foreste, alla zootecnica, alle ricchezze della biomassa, insomma, sta il fatto che dei milioni di specie vegetali e animali esistenti in natura, soltanto alcune centinaia di migliaia sono state osservate e caratterizzate scientificamente e hanno ricevuto un "nome", e soltanto di poche centinaia sono stati esplorati a fondo i caratteri botanici, zoologici e chimici in relazione al loro uso come fonti di materie prime e merci.
Il principio dell'economia tradizionale che spinge a utilizzare soltanto le materie che assicurano una elevata resa di "denaro" per unità di superficie coltivata o per unità di peso, ha provocato un graduale impoverimento delle varietà vegetali e animali utilizzate. Tale impoverimento è stato trasferito anche nei paesi arretrati da cui vengono tratte molte delle materie di interesse commerciale.
L'abbandono, per motivi di prezzo, di molte merci di origine naturale ha provocato un impoverimento della diversità biologica e la scomparsa di specie di animali da allevamento, di piante da fibra e di altre utilizzate come fonti di coloranti e di medicinali, eccetera.
Un motivo di ottimismo per la ripresa dell'uso merceologico di molte risorse biologiche sta nella grandissima varietà di molecole che esse contengono: mentre "la chimica", come si ricordava prima, è nata come "chimica delle sostanze naturali", l'attenzione per tali sostanze è andata declinando, proprio per il minore loro interesse commerciale. L'industria farmaceutica è probabilmente l'unica che trova ancora conveniente, per la preparazione di nuovi medicinali, partire da molecole naturali suscettibili di modificazioni.
C'è un altro aspetto interessante: la produzione commerciale di prodotti, soprattutto alimentari, nei paesi industriali comporta l'utilizzazione di tecniche di trasformazione e conservazione che generano grandi quantità di sottoprodotti ricchi di molecole organiche che spesso creano problemi di smaltimento e sono fonti di inquinamento. Si pensi ai sottoprodotti e scarti dell'industria delle conserve, dell'industria lattiero-casearia, dell'industria della macellazione e trasformazione della carne, eccetera.
Si può calcolare che, ogni due kilogrammi di materia organica secca di origine biologica che entra negli attuali cicli agroalimentari, almeno un kilogrammo finisca negli scarti o addirittura nei rifiuti. Una più attenta conoscenza della composizione chimica e fisica e dei caratteri di tali scarti potrebbe consentire di ricuperare grandi quantità di merci usando come "materie seconde" tali sottoprodotti.
5. La fantasia della natura
Circa il 60 % della biomassa vegetale è costituita da carboidrati come zuccheri, cellulose, amidi, che sono poi i primi materiali che si formano nel processo di fotosintesi. Con tre soli atomi, carbonio, idrogeno e ossigeno, la natura "fabbrica", in una grandissima varietà di combinazioni, materie diversissime, talvolta accumulate per la prima fase di sviluppo dei semi, talvolta come materiali da costruzione capaci di trasportare acqua e sali inorganici dal suolo a decine di metri di altezza.
Di questa grande fantasia naturale viene utilizzata soltanto una piccola parte a fini umani. L'industria della carta, che assorbe ogni anno molte centinaia di milioni di tonnellate di materiali lignocellulosici, va a cercare le proprie materie prime sulla base della necessità di ottenere della "cellulosa" standard adatta per i suoi cicli produttivi.
L'industria tessile utilizza un numero molto limitato di fibre cellulosiche, rispetto alla grande varietà di materiali offerti dalla natura. L'industria chimica produce, talvolta faticosamente, per sintesi molecole che sono state e possono essere ottenute per via microbiologica dai carboidrati.
Fra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento l'attenzione dei chimici è stata rivolta ai derivati chimici della cellulosa e si è così visto che i vari gruppi funzionali alcolici erano suscettibili di trasformazione in numerose sostanze, per la maggior parte poi abbandonate per il loro scarso interesse finanziario immediato. Sono sopravvissuti alcuni acetati come fibre artificiali o materie per pellicole, di limitata produzione, e i nitrati utilizzati come ingredienti per esplosivi.
Il successo delle pellicole di polimeri sintetici ha spazzato via l'interesse per quelle di cellulosa rigenerata (tipo cellophane) che pure presentano importanti proprietà di permeabilità ai gas, ai liquidi e di biodegradabilità.
Una migliore conoscenza dei materiali lignocellulosici --- le lignine accompagnano le cellulose in ragione di circa una parte ogni due o tre parti di cellulosa --- potrebbe dare un contributo a nuove forme di utilizzazione della carta e dei cartoni usati, di fronte ad una crescente difficoltà delle operazioni per la loro trasformazione in nuovi prodotti cartotecnici.
Le altre importanti macromolecole della classe dei carboidrati sono gli amidi, sostanze con diversissima composizione e peso molecolare, variabili da una specie vegetale all'altra e suscettibili di trasformazione in molti derivati, finora ben poco studiati. Per idrolisi chimica o microbiologica degli amidi si formano numerosissime sostanze, "le destrine", molto variabili come caratteristiche chimiche e fisiche e usate solo limitatamente. Simili considerazioni valgono per molti zuccheri, dai monosaccaridi come il glucosio, ai disaccaridi, agli zuccheri "più rari", di cui esistono grandi quantità in natura. Molti di questi sono capaci di fornire derivati, alcuni dei quali noti dal punto di vista chimico, ma finora poco o niente studiati dal punto di vista delle proprietà tecniche che aprirebbero probabilmente le porte a molti impieghi merceologici.
Con un quarto atomo, l'azoto, tratto dal terreno, i vegetali "fabbricano" le sostanze proteiche presenti in tutti i vegetali e da questi trasferite agli animali. La natura, con infinita fantasia e pazienza, partendo da un limitato numero di amminoacidi, che sono le "pietre fondamentali" delle proteine, ha predisposto i comuni materiali da costruzione per organi vitali tanto diversi fra loro, per tutte le forme di vita. Nelle pareti cellulari delle foglie, nel sangue animale, nelle ali delle farfalle, troviamo sostanze proteiche diversissime come caratteri e funzioni; la diversità deriva dalle proporzioni in cui sono presenti tali amminoacidi e della loro successione.
Nonostante la varietà delle proteine esistenti in natura soltanto pochissime hanno ricevuto attenzione, al di fuori degli usi alimentari e di quelli dell'industria conciaria e tessile (seta, lana). Poche sostanze proteiche (quelle della caseina, della zeina, dell'arachide) sono state utilizzate per la produzione di fibre artificiali, oggi abbandonate. Eppure ogni anno milioni di tonnellate di proteine derivate dalle industrie di trattamento dei prodotti agricoli, dal siero di latte, presenti nei residui dell'estrazione dei grassi, negli scarti della macellazione e delle operazioni conciarie, eccetera, vengono destinate ad usi poveri, come l'alimentazione del bestiame, o la concimazione dei terreni, quando addirittura non sono buttate vie costituendo fonti di inquinamento. Molte di queste proteine sono di origine animale, ricche di amminoacidi essenziali, e potrebbero essere utilizzate per l'integrazione degli alimenti poveri, come quelli che stanno alla base della nutrizione di molti paesi del Sud del mondo.
Le stesse considerazioni sulla fantasia della natura valgono per i lipidi, i costituenti degli oli e grassi di origine vegetale e animale, che pure sono prodotti industrialmente, soprattutto per l'alimentazione umana, in quantità di circa 100 milioni di tonnellate all'anno.
Il successo dei tensioattivi sintetici e della glicerina sintetica ha ridotto il campo di applicazione industriale dei grassi naturali: anche qui le considerazioni "ecologiche" hanno riportato in vita, nella detergenza domestica, sia pure limitatamente, alcuni tipi di saponi di origine agricola grazie alla loro biodegradabilità.
Vi sono molte strade aperte per l'utilizzazione, con successo, di coloranti naturali, di gomme e resine, dei terpeni, di molte vitamine e degli steroli, soprattutto in tutti quei casi in cui le proprietà di interesse commerciale sono associate a strutture chimiche abbastanza complicate e non riproducibili per via sintetica.
A puro titolo di curiosità, e come esempio della potenziale ricchezza di moltissimi prodotti quasi sconosciuti del Sud del mondo, si può ricordare la storia della produzione, nel 1951, da parte dell'industria messicana Syntex, del cortisone dalla diosgenina ricavata dalla radice dell'igname messicano; lo stesso gruppo di chimici americani e messicani, operando nel Messico, preparò, sempre nel 1951, dal testosterone il contraccettivo orale noretindrone, "la pillola" (è questo il titolo di un libro di Carl Djerassi, pubblicato da Garzanti, che racconta tutta questa avventura) che avrebbe fatto diminuire il tasso di crescita della popolazione mondiale e rivoluzionato i costumi sessuali di miliardi di coppie. Si tratta di un esempio di come la rivoluzione della biomassa potrebbe far crescere nel Sud del mondo nuove industrie e attività di ricerca e produzione basate su materie locali.
La sfida della natura che offre, nei prodotti vegetali e animali associati all'agricoltura, una così grande varietà e complicazione di sostanze si può accettare soltanto con altrettanta fantasia chimica e di ricerca. Siamo di fronte ad una chimica difficile, ma proprio per questo i chimici e le imprese dei paesi industrializzati come il nostro potrebbero impegnarsi,usando i raffinati strumenti oggi disponibili, per creare nuove merci, processi e occasioni di occupazione, con vantaggio sia per il Sud sia per il Nord del mondo, ricordando anche che molte soluzioni sono già state trovate e poi sono state abbandonate, con un impoverimento del patrimonio di conoscenze, un processo simile alla perdita del patrimonio di biodiversità.
In conclusione vengono indicati alcuni riferimenti bibliografici relativi a libri che esaminano l'agricoltura come fonte di merci.
"Crops in peace and war", The Yearbook of Agriculture 1950-51, Washington (DC, USA), U.S. Department of Agriculture, 1951 (rassegna delle ricerche e realizzazioni agro-industriali negli Stati Uniti durante la II guerra mondiale)
"Renewable resources for industrial materials", U.S. National Academy of Sciences, National Research Council, Washington, DC (USA), 1976 (rassegna delle ricerche e realizzazioni agro-industriali negli Stati Uniti dopo la crisi petrolifera degli anni settanta)
"Agricultural commodities as industrial raw materials", Report OTA-F-476, Washington (DC, USA), Congress of the United States, Office of Technology Assessment
"Emerging technologies for materials and chemicals from biomass", ACS Symposium Series 476, Washington (DC, USA), American Chemical Society, 1990
"Biomass for energy and industry", Atti delle conferenze annuali organizzate dalla Comunità europea sulle prospettive di utilizzazione industriale dei prodotti della biomassa, Amsterdam, Elsevier (il vol. 7 è del 1992)
S.P. Caruthers, E.A. Miller e C.M.A. Vaughn (editors), "Crops for industry and energy", CAS Report 15, Reading (UK), Center for Agricultural Strategy, 1994
C.A. Spelman, "Non-food uses of agricultural raw materials: economics, biotechnology and politics", Wallingford (OX10 8DE, UK), CAB International, 1994.
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