Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Ho molto apprezzato l’iniziativa della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia
I miei primi contatti indiretti col prof. Giovanni Francia risalgono alla metà del 1961; in quell’estate si tenne a Roma la Conferenza delle Nazioni Unite sulle “nuove” fonti di energia: solare, eolico e geotermico. Per quanto ricordo fu un evento molto importante, con una esposizione di piccoli impianti solari, fra cui quello del professore israeliano Harry Tabor, ben descritto nel volume: “Selected reprints of papers by Harry Zvi Tabor, solar energy pioneer”, Rehovot, Balaban Publishers, 1999. Ci fu una visita a Larderello agli impianti geotermici.
Il prof. Francia presentò, in quella occasione il suo studio: “A new collector of solar radiant energy. Theory and experimental verification”, “U.N. Conference on New Sources of Energy, Rome, 1961, Paper E/Conf/35/5/71”; presso la Fondazione Micheletti si trova l’intera collezione degli atti di tale conferenza, in 17 volumi rilegati. Una edizione a stampa: “New Sources Of Energy : Proceedings Of The United Nations Conference On New Sources Of Energy; Solar Energy, Wind Power, Geothermal Energy, Rome 21 To 31 August, 1961” è stata pubblicata nel 1964. Un testo datato 3 May 1961 (potrebbe essere il testo inviato in anticipo alla conferenza), si trova nel faldone “Francia” del Fondo Giorgio e Gabriella Nebbia (d’ora in poi G&G) www.musil.bs.it --- Sezioni --- Archivio.
La scoperta esposta da Francia nel 1961 era di grande interesse: quando un corpo (collettore) è esposto al Sole la sua superficie si riscalda, ma una parte del calore ricevuto va perduto per conduzione, convezione e irraggiamento dalla parte sottostante e soprattutto dalla superficie esposta al Sole; per poter ottenere calore ad una temperatura utile (per scaldare acqua, o aria) il fondo del collettore deve essere isolato. Le perdite per conduzione, convezione e irraggiamento della superficie esposta al Sole possono essere ridotte con vari accorgimenti: coprendola con una superficie (vetro, plastica) trasparente alla radiazione solare totale ma opaca alla radiazione rossa vicina e infrarossa. Quando peraltro la superficie del collettore supera i circa 100-150°C la superficie del collettore irraggia calore verso la superficie trasparente e questa si scalda e perde calore verso l’esterno per conduzione, convezione e irraggiamento.
Francia, che era un buon fisico, si ricordò delle proprietà dei “corpi neri” che assorbono calore raggiungendo (in via di principio) la stessa temperatura della sorgente di calore (nel nostro caso il Sole) senza perdere calore. Francia si ricordò che un comportamento da “corpo nero” si ottiene con un tubo lungo e sottile col fondo annerito, puntato verso la fonte di calore.
La difficoltà di tenere un tale corpo nero puntato verso il Sole fu superata da Francia con un fascio di tubi di vetro, una struttura “a nido d’ape”, per cui, con relativamente modeste perdite di calore per assorbimento, la radiazione solare poteva raggiungere il fondo della struttura a nido d’ape anche quando la struttura non era perfettamente “puntata” verso il Sole, fino a quando le pareti non “facevano ombra” al fondo del nido d’ape. Con considerazioni fisiche e geometriche Francia calcolò che in una struttura a nido d’ape efficiente come collettore solare, senza bisogno di un vetro sovrastante e senza bisogno di concentrazione, ciascun elemento avrebbe dovuto avere una lunghezza superiore a circa 10 volte il diametro; tale struttura a nido d’ape evitava così le perdite di calore dal “fondo nero” (anche quando il fondo era ad elevata temperatura) sia per irraggiamento, sia per convezione, era cioè antiirraggiante e anticonvettiva.
Ricordo che in un incontro successivi (mi pare a Milano nell’Istituto del prof. Gino Bozza, forse nel settembre 1962) Francia si portò dietro una specie di scatola, mi pare una specie di cubo di circa 30-40 cm di spigolo, pieno di tubi di vetro, lunghi e sottili che venivano a costituire una struttura a nido d’ape. Il dispositivo aveva quattro pareti isolate: il fondo della struttura a nido d’ape era ”nero” e isolato termicamente. La parte aperta era puntata verso il Sole. Se il corpo nero sul fondo era di carta, in pochi minuti la carta si incendiava, il che voleva dire che raggiungeva una temperatura superiore a circa a 200°C. Ricordo di essere stato molto impressionato.
Nel frattempo, dopo la conferenza di Roma del 1961, alcuni di noi furono invitati ad un seminario sull’energia solare a Sounion in Grecia; particolarmente attivo era il prof. Marcel Perrot (1908-2006), profugo (dopo i movimenti di indipendenza dell’Algeria; le sue lettere datate Algeri finiscono nel 1961, dopo si è trasferito a Marsiglia) dall’Università di Algeri dove aveva condotto ricerche sull’energia solare, con due o tre suoi collaboratori, fra cui ricordo il fedele Touchais.
In quella occasione fu costituito un gruppo di collaborazione chiamato “Cooperation Mediterraneenne pour l’energie solaire” (Comples); i membri fondatori furono Perrot per la Francia, Pedro Blanco per la Spagna (morì qualche anno dopo e ne ho perso le tracce), un greco, un portoghese di cui non ricordo il nome e io per l’Italia. Per quel poco che ricordo, a tanti anni di distanza, mi sembra che l’iniziativa, in cui non c’era nessuno studioso di lingua inglese, fosse una specie di rivalsa francofona contro l’invadenza anglofona nel campo dell’energia solare. Se ben ricordo il prof. Perrot parlava soltanto francese. Gli atti di questa conferenza di Sounion sono pubblicati nel volume: “Solar and Aeolian energy”, A. Spanides e A.Hatzikakidis (editors), New York, Plenum Press, 1961. Una copia di questo raro volume è presso la Fondazione Micheletti. Questa pagina poco nota della storia dell’energia solare è ricordata nell’intervista rilasciata all’ing. Cesare Silvi dal prof. Perrot poco prima della sua morte http://www.gses.it/pub/perrot.php.
Cito qui la cosa perché ben presto Francia entrò in contatto col prof. Perrot e ne divenne amico e collega. E così, frequentando il Comples, ebbi per alcuni anni frequenti rapporti col prof. Francia.
Non ricordo quando tali contatti cominciarono. Il faldone Francia del Fondo G&G contiene molte lettere scambiate con Francia e estratti di suoi articoli; la lettera più vecchia mi pare sia del novembre 1962. Sta di fatto che la relazione di Francia sulle cellule antiirraggianti presentata a Roma nel 1961 ebbe una grande risonanza; Tabor, nel suo libro citato (p. 134), ricorda di avere condotto lui stesso esperimenti sulle cellule anti irraggianti e anticonvettive nel 1962 e cita esperimenti sovietici, risalenti agli anni trenta del Novecento, senza peraltro che ci siano state apparenti applicazioni pratiche.
Perrot era preso da una grande frenesia organizzativa che coinvolse anche Francia. Il Comples tenne varie riunioni, ad alcune delle quali ho partecipato. Per quanto ricordo Francia era sempre presente e attivo. Il Comples pubblicava anche un bollettino la cui collezione, almeno per molti anni, si trova alla Fondazione Micheletti.
Più o meno ricordo i seguenti incontri.
Milano, presso il Politecnico, 5-7 settembre 1962
Madrid: 8-10 aprile 1963
Lisbona: 1-4 aprile 1964
Istanbul: 9-16 aprile 1965
Marsiglia: maggio 1966
Madrid: 8-11 maggio 1967
Genova: 21-25 maggio 1968
Atene: 8-13 settembre 1969
San Remo–Nizza: 5-9 ottobre 1970
Devo dire che agli ultimi incontri non partecipai; ormai ero preso da altri interessi, anche se ho seguito, anche attraverso la corrispondenza e i bollettini, le attività del Comples e quindi di Francia.
Da quello che ricordo, dopo che è stato riconosciuto il successo ed è aumentato il prestigio di Francia con la sua proposta delle cellule a nido d’ape, Francia si è impegnato per l’utilizzazione di tali strutture per ottenere calore ad alta temperatura mediante concentratori.
Ha così costruito vicino a Genova, a Sant’Ilario, il primo dei campi di specchi; lo visitai in qualche periodo degli anni sessanta. Francia costruì poi a Sant’Ilario un campo di specchi più grande e poi il lavoro è continuato a Marsiglia. Una specie di autobiografia fu presentata da Francia ad una giornata di studi sull’energia solare alla FAST a Milano il 3 luglio 1974.
Io ero piuttosto freddo verso l’utilizzazione dell’energia solare ad alta temperatura; avevo scritto un articoletto, pubblicato nel Bulletin du Comples, dicembre 1967, in cui suggerivo che a mano a mano che aumenta la temperatura di un collettore solare, aumenta il “valore energetico” (esergia) del calore raccolto, e ne diminuisce, quindi, il costo monetario per unità di esergia, ma al di là di una soglia di temperatura, che ponevo, mi pare intorno a 120°C, si può aumentare la temperatura del collettore soltanto con sistemi di concentrazione e cattura della radiazione solare, tanto più delicati e costosi quanto maggiore è la temperatura del calore concentrato sul collettore, e di conseguenza un aumento del valore dell’energia raccolta comporta un aumento del costo delle apparecchiature per cui ne diminuisce il costo per unità di esergia.
Tuttavia ho apprezzato alcune soluzioni meccaniche realizzate da Francia per tenere in movimento continuamente gli specchi in modo da “seguire” il Sole nel suo moto apparente nel cielo; si trattava di ingegnosi automatismi, uno dei quali è stato donato al Museo della Fondazione Micheletti.
Non ho seguito più il lavoro di Francia che, mi pare di ricordare, convinse l’Ansaldo e l’Enel ad applicare le sue cellule antiirraggianti nel fuoco di un campo specchi costruito ad Adrano; la centrale dovrebbe essere stata in funzione dal 1981 al 1987. Il prof. Francia, morto nell’aprile 1980, non ha avuto il bene di vedere realizzato il più ambizioso dei suoi progetti. Non so quali risultati tale centrale abbia ottenuto; ormai però era finita la crisi petrolifera e la passione per l’energia solare era diminuita.
Mi pare comunque di avere visto un documento Ansaldo in cui veniva riconosciuto il contributo di Giovanni Francia alle centrali a specchi.
Per il resto, come appare dall’inventario pubblicato dalla Fondazione Micheletti, Francia ha tenuto conferenze e ha scritto articoli sulle prospettive dell’energia solare, sulle “città solari”, su distillatori solari (che non ricordo di avere però visto), ed è autore di altre invenzioni e studi.
A mio modesto parere il suo migliore contributo originale riguarda l’idea di strutture a nido d’ape convettive e anti irraggianti insieme. In edilizia vengono usate delle strutture a nido d’ape, di plastica trasparente, come componenti isolanti; in genere il rapporto diametro/lunghezza di tali celle del nido d’ape è di uno a due o tre. Soltanto, come ho ricordato, quando tale rapporto diventa di uno a oltre dieci (un centimetro di diametro a dieci e oltre centimetri di profondità), la struttura a nido d’ape si comporta come “corpo nero”.
Ricordo che Francia suggeriva di usare strutture a nido d’ape di policarbonato, abbastanza resistente alle alte temperature, abbastanza trasparente. La cosa mi aveva colpito e mi sono sempre ripromesso di provarle.
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