Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Il campo delle energie rinnovabili, tutte derivate dal Sole, sta vivendo un periodo turbolento. Da alcuni anni finalmente ci si sta rivolgendo al calore e alla radiazione solare e alla forza del vento per ottenere energia, soprattutto energia elettrica, in forma meno inquinante e utilizzando forze che ritornano disponibili continuamente, rinnovabili, legate ai grandi cicli della natura. Il loro successo è stato finora in gran parte possibile grazie a consistenti contributi pubblici che hanno coperto la differenza fra il costo di produzione dell’elettricità, maggiore nel caso del Sole e del vento, rispetto al costo di produzione nelle centrali termoelettriche alimentate con fonti fossili, e al “prezzo unitario nazionale” dell’elettricità che si aggira intorno a circa 6 centesimi di euro al chilowattora (anche se a casa nostra la paghiamo oltre il doppio).
Il sistema degli incentivi ha fatto si che, usando fonti energetiche rinnovabili, non solo si compie una azione positiva ambientale (meno inquinamenti, meno emissioni di gas che alterano il clima, minori importazioni di fonti fossili), ma ci si guadagna anche a livello di famiglie, di comuni, di chi affitta lo spazio per installare pannelli fotovoltaici e torri eoliche, di chi vende pannelli e centrali eoliche, in tanti insomma.
Una situazione fragile, tanto è vero che, alla notizia che forse gli incentivi pubblici diminuiranno o scompariranno, per motivi di economia nazionale, in molti sono terrorizzati davanti al rischio di veder sfumare tanti buoni affari; in alcuni casi, infatti, a quanto pare, i soldi pubblici sono serviti non solo a produrre energia pulita, ma anche a produrre soldi privati. In queste condizioni è il caso di riesaminare criticamente se e come è conveniente coprire i campi e i tetti di pannelli fotovoltaici, nel quadro di un’economia nazionale che sia seriamente interessata a liberarsi dalla schiavitù del petrolio e dai rischi di un possibile, anche se speriamo improbabile, nucleare.
La radiazione solare e la forza del vento sono importanti ma scomode; mentre si sa esattamente quanti chilowattora di elettricità si produce per ogni chilo di carbone o petrolio o gas bruciato in una centrale termoelettrica, quando ci si alza la mattina non si sa esattamente quanta elettricità sarà prodotta da una pannello fotovoltaico o da un motore a vento. Nel caso dell’energia solare l’intensità della radiazione solare che raggiunge la superficie dei continenti alle nostre latitudini si aggira intorno a 1.000 chilowattore all’anno per metro quadrato, con una media di circa 3 chilowattore al giorno per metro quadrato. La radiazione elettromagnetica solare si presenta in un campo di lunghezze d’onda che vanno dalla parte ultravioletta (circa 10 % del totale), a quella visibile, dal blu al rosso (circa 70 %) alla parte infrarossa (circa 30 % del totale).
Le celle fotovoltaiche attuali trasformano in elettricità principalmente la radiazione visibile la cui intensità per metro quadrato varia di ora in ora e di giorno in giorno, a seconda del grado di nuvolosità e dell’altezza del Sole rispetto all’orizzonte. La mattina e la sera, infatti, la radiazione arriva sulla superficie di un pannello dopo aver attraversato uno strato dell’atmosfera maggiore, rispetto a quando il Sole è verticale (o quasi) e il passaggio attraverso l’atmosfera assorbe una parte della radiazione in arrivo. La radiazione raccolta da un pannello dipende perciò dal suo orientamento rispetto al cammino “apparente” del Sole nel cielo, variabile di giorno in giorno; per questo alcuni pannelli sono dotati di un sistema di orientamento variabile che peraltro complica l’impianto.
Dal punto di vista commerciale i pannelli fotovoltaici sono venduti sulla base della “potenza di picco”, in chilowatt, corrispondente alla quantità di chilowattora di elettricità che un pannello è in grado di fornire nell’ora centrale della giornata in giugno. Un pannello della potenza di picco di un chilowatt ha una superficie di circa 10 metri quadrati e fornisce, durante l’intero anno da 1000 a 1400 chilowattore di elettricità. Per sapere quanta elettricità sarà possibile ottenere effettivamente bisogna (bisognerebbe) misurare esattamente, nell’intero anno, l’intensità della radiazione solare nel luogo di installazione.
Il più antico strumento di misura dell’energia solare fu inventato nel 1855 dall’inglese J.F. Campbell (1822-1885) ed era costituito da una sfera di vetro; già i fisici greci e arabi avevano scoperto che la radiazione solare che attraversa una sfera trasparente si concentra in un punto che si trova sotto la sfera ad una distanza di circa il 10 % del diametro e usavano queste “sfere ustorie” per accendere il fuoco; la distanza esatta del “fuoco” era stata calcolata dal matematico arabo Ibn al-Haytham intorno all’anno mille. Nell’eliofanografo di Campbell, perfezionato nel 1885 dal fisico George Stokes (1819-1903), al di sotto della sfera viene posta una striscia di carta che registra una bruciatura nelle varie ore del giorno quando splende il Sole; si ottiene così il numero di ore di insolazione in ciascun giorno di osservazione.
Al posto di questa misura empirica si usano solarimetri e piroeliometri nei quali l’estremità di una lamina costituita dalla saldatura di due metalli è esposta orizzontalmente al Sole; per l’effetto termoelettrico si forma una corrente elettrica proporzionale all’intensità della radiazione solare, strumenti di questo tipo portano i nomi di inventori o di fabbricanti, come l’olandese W.J.H. Moll (1876-1947), il polacco L. Gorczynski, i laboratori americani Eppley; vengono usati anche strumenti nei quali l’intensità della radiazione solare è misurata, in modo accurato con celle fotovoltaiche. Una rassegna di tali strumenti di misura, comparati, è stata pubblicata nel numero di maggio 2010 della rivista mensile “Photon”.
La conoscenza dell’effettiva intensità della radiazione solare non è un esercizio accademico, ma uno strumento che chi acquista dei pannelli solari farebbe bene a utilizzare prima di scegliere la localizzazione per evitare delusioni. I solarimetri sono di grande importanza anche in ecologia agraria per la misura della correlazione fra l’intensità della radiazione solare e i rendimenti delle coltivazioni.
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