mercoledì 4 dicembre 2013

SM 3610a -- Piccola storia dell'energia solare -- 2013

Da Energie & Ambiente, Fiera di Milano Editrice, anno 3, fascicoli 9, 10, 11 e 12 (2013)

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Quando si parla di energia solare il pensiero corre subito alle distese di pannelli fotovoltaici che si stanno diffondendo in tanti paesi: in Italia, ma dicono che la Cina sia la più grande produttrice di elettricità dal Sole, e anche la più grande produttrice e esportatrice di pannelli solari e di macchinari che utilizzano fonti energetiche rinnovabili, fra cui motori eolici che producono elettricità utilizzando la forza del vento che deriva, anche lei, dal modo in cui il Sole scalda diversamente i vari continenti. E poi si pensa alle grandi centrali con specchi piani o parabolici che concentrano la radiazione solare in modo da ottenere vapore a temperatura sufficientemente alta, in grado di alimentare turbine elettriche. Il calore solare, infine può essere utilizzato per riscaldamento a bassa temperatura di acqua per usi igienici e di edifici. Senza contare che l’energia idroelettrica, prodotta nel mondo (nel 2013) in ragione di circa 3.600 miliardi di chilowattora all’anno (rispetto ad una produzione mondiale annua di elettricità di circa 18.000 miliardi di chilowattora), deriva dal moto delle acque, anche lui derivato dal ciclo di evaporazione e condensazione dell’acqua planetaria, alimentato dal Sole. Ma ancora di più, guardando al futuro, il Sole rappresenta la grande speranza per liberare le società industriali dalla dipendenza dallo scarso petrolio e dall’inquinante carbone; col Sole è quindi possibile alleggerire anche l’immissione nell’atmosfera dei gas serra che alterano il clima.

A dire la verità il Sole ha rappresentato sempre, anche prima dei pannelli fotovoltaici, la fonte di energia per l’umanità fino al Seicento. Innanzitutto il Sole è la fonte di energia che produce la biomassa vegetale che sta alla base dell’unica irrinunciabile “merce” costituita dagli alimenti umani e animali. Ancora oggi la biomassa vegetale da cui ricavare “merci economiche” come alimenti e legname, assorbe ogni anno una quantità di energia corrispondente a quella “contenuta” in circa 5 miliardi di tonnellate di petrolio, una quantità superiore a quella di tutto il petrolio estratto ogni anno dai pozzi.

Dalla biomassa vegetale solare le società del passato hanno tratto legname come combustibile e come materiale da costruzione; il calore solare è stato sfruttato sulle rive del mare per ottenere il prezioso sale, indispensabile per conservare la carne e le pelli; col vento sono state mosse le navi e, naturalmente, dalla biomassa solare sono stati tratti gli alimenti per gli esseri umani e per gli animali, il cui lavoro ha fornito lavoro meccanico prima dell’invenzione dei trattori a motore. Senza contare che dal Sole traggono ancora oggi la maggior parte dell’energia utile gli abitanti delle zone povere del pianeta.

Del resto non c’è da meravigliarsi perché è grandissima la quantità di energia irraggiata dal Sole che raggiunge la Terra, messa a girare intorno al Sole ad una distanza “giusta” tale da ricevere dal Sole, tanta, ma non troppa, energia in modo da raggiungere, grazie all’atmosfera gassosa, una temperatura media un po’ superiore a quella che chiamiamo zero gradi Celsius, quella giusta per tenere l’acqua allo stato liquido.

Oggi abbiamo motivo di comprendere lo straordinario ruolo del Sole anche se le antiche società umane hanno da sempre studiato attentamente il Sole, il suo moto apparente nel cielo e si sono interrogate su come ricavarne qualcosa di utile per alleviare la fatica del lavoro umano.

Le notizie sulla utilizzazione intenzionale del calore solare si perdono nelle leggende. Chi sa chi è stato il primo a scoprire che con certe pietre rotonde il calore solare poteva essere concentrato su un corpo scaldandolo fino alla temperatura di accensione del fuoco. Si dice che il fuoco delle Olimpiadi (siamo circa 2500 anni fa) veniva acceso con una “lente”che concentrava il calore solare e che qualche simile artifizio era usato per accendere i fuochi “sacri” di molti riti religiosi. Ne parla Plutarco nel I secolo dopo Cristo.

Esiodo, nell’8° secolo a.C. nella “Teogonia” parla di “strumenti concavi” capaci di sfruttare il “fuoco inesauribile”; tre secoli dopo Aristofane nelle ”Nuvole” racconta di uno Stepsiade che, per sfuggire ai creditori, aveva utilizzato una pietra diafana per fondere col calore solare la cera delle tavolette in cui erano segnati i suoi debiti. Citazioni interpretabili come riferite all’uso di lenti o specchi ustori si trovano in Aristotile, in Teofrasto e nella “Catottrica” di Euclide il quale afferma che si può accendere un fuoco con specchi concavi orientati verso il Sole.

Fino ad arrivare alla leggenda secondo cui Archimede, ma il racconto appare negli scrittori molti secoli dopo, con qualche artifizio solare, specchi piani o lenti, avrebbe incendiato a distanza le vele della flotta di Marcello che assediava Siracusa. Sta di fatto che si deve ai matematici greci che giravano dall’Asia Minore all’Europa meridionale l’osservazione delle proprietà di certe figure geometriche, come la parabola o la sfera, capaci di concentrare la luce in un ”fuoco”, e la stessa terminologia geometrica sta ad indicare che tale proprietà è stata riconosciuta proprio per il fatto che in tale punto si concentrava e la temperatura diventava così elevata da accendere appunto un fuoco.

Plinio nella “Storia naturale” spiega che con un recipiente sferico pieno di acqua è possibile concentrare il calore solare in modo da accendere dei tessuti e parla di lenti di cristallo di rocca per accendere il fuoco.

L’impiego militare del calore solare alla maniera attribuita ad Archimede deve avere sollecitato la fantasia di tanti perché se ne trovano tracce in moltissimi autori greci e bizantini fra cui Proclo, Antemio di Tralles, e altri. Ad Antemio di Tralles si attribuisce un trattato sugli specchi ustori, costruiti affiancando vari specchi piani secondo una struttura parabolica, proprio come si fa oggi nelle centrali solari a specchi. Una bella rassegna sugli specchi ustori si trova nel sito del Gruppo per la Storia dell’Energia Solare: http://www.gses.it/pub/specchi1.pdf

Purtroppo l’attendibilità delle notizie circolate in questo periodo è limitata perché spesso i testi greci ci sono, pervenuti attraverso traduzioni arabe. E’ stato infatti l’avvento dell’Islam a partire dal VII secolo dopo Cristo a diffondere, rielaborare e controllare le notizie sull’uso dell’energia solare provenienti dal mondo greco. In pochi decenni il mondo islamico si è esteso dall’Asia al Nord Africa all’Europa; i molti centri commerciali ed economici si sono ben presto trasformati in centri di cultura in cui sono state tradotte molte opere del mondo ellenistico. Ne è nata una scuola e tradizione di matematici, astronomi e meccanici che scrivevano in arabo e che hanno continuato gli studi del matematici greci.

Una delle figure più importanti fra i matematici e fisici arabi è quella di Ibn al.Haitham, noto col nome latinizzato di Alhazen, nato a Bassora, nell’attuale Iraq meridionale, nel 965 e vissuto a lungo in Egitto dove si occupò di regolazione delle acque del Nilo. Caduto in disgrazia si ritirò nella propria abitazione e si dedicò alla traduzione in arabo di centinaia di opere greche, fra cui gli Elementi” di Euclide” e i “Trattati intermedi” e l’”Almagesto” di Tolomeo”. Al Cairo morì nel 1039.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

Fondamentale è la “Ottica” nella quale Ibn al-Haitham riassume e rielabora le conoscenze precedenti e spiega alcuni fatti nuovi come il meccanismo della visione e descrive l’invenzione della “camera oscura”, da cui sarebbe derivata la fotografia. Dal punto di vista dell’energia solare Ibn al-Haitham chiarisce il meccanismo della rifrazione della luce (anticipando la misura del rapporti fra gli angoli del raggio incidente e del raggio rifratto che sarebbe stata riscoperta da Snell) e spiega perché una sfera di materiale trasparente, esposta al Sole, concentra la radiazione solare in un punto al di sotto della sfera. Il fenomeno è utilizzato nell’eliofanografo di Campbell, strumento usato per misurare il numero di ore di insolazione di una località. La radiazione solare che attraversa la sfera di vetro “brucia” parzialmente un foglio di carta posto nel fuoco della sfera e dall’esame della superficie della bruciatura si possono trarre informazioni sulla durata e sull’intensità della radiazione solare.

Due opere minori di Ibn al Haitham, tradotte dal fisico tedesco Eilhard Wiedemann, trattano gli specchi ustori sferici e parabolici. Ci doveva essere un grande interesse per questi problemi nel mondo islamico perché, quasi contemporaneo di Ibn al-Haitham, a Bagdad Ibn Sahl aveva scritto un libro spiegando anche lui il fenomeno della rifrazione della luce e trattando le lenti ustorie.

Si può dire che con questi autori arabi erano ormai disponibili le informazioni per gettare le basi dell’utilizzazione “economica” dell’energia solare come fonte di calore ad alta temperatura.

A questo punto la cultura scientifica greca è tornata in Occidente attraverso la presenza araba in Spagna e in Sicilia e attraverso le Crociate. Nell’XI e XII secolo dopo Cristo si trovavano nel Mediterraneo persone colte, cristiani, musulmani, ebrei, che conoscevano il greco, l’arabo e l’ebraico; la presenza in Occidente di regnanti curiosi delle conoscenze anche tecnico-scientifiche del mondo islamico ha spinto gli studiosi medievali alla traduzione e rielaborazione di tali conoscenze e si sono così aperte le porte al mondo moderno.

L’”Ottica” di Ibn al-Haitham fu tradotta in latino da un anonimo intorno al XII secolo e poi rielaborata dal polacco Witelo (latinizzato in Vitellone) nel XIV secolo. L’opera fu stampata a Basilea nel 1572. Nelle prime pagine dell’edizione di Basilea viene presentata una tavola ispirata alla leggenda di Archimede. L’”Ottica” di Ibn al-Haitham ha influenzato in Occidente Ruggero Bacone e molti altri tanto che dal XIII secolo in avanti si moltiplicano le notizie sugli specchi e sulle lenti ustorie. Il problema era soltanto quello di trovare materiali adatti per la costruzione di lenti abbastanza grandi e di specchi parabolici abbastanza lucidi per una buona concentrazione dell’energia solare nel fuoco. Per alcuni secoli continuano comunque ad apparire più progetti e proposte che applicazioni pratiche.

Un posto importante occupa a questo punto il napoletano Giovan Battista Della Porta (1535-1615) straordinario e modernissimo curioso, scrittore di scienze naturali, ma ancora influenzato da influssi “magici”, disposto a credere a dicerie che circolavano fra le persone colte del Cinquecento. La sua opera più nota è intitolata “Magiae naturalis sive de miraculis  rerum naturalium”, una collezione di idee e notizie di storia naturale, fisica, chimica, ricette per ottenere estratti di piante e notizie su lenti, specchi e sfere ustorie Nel capitolo X viene descritto un distillatore alimentato con l’energia solare; si tratta probabilmente della prima applicazione dell’energia solare alla soluzione di un problema pratico come l’ottenimento di acqua dolce dal mare.

Con Della Porta si entra nel tempo moderno ma prima va ricordato che, apparentemente in maniera indipendente, anche nella lontana Cina qualcuno aveva scoperto che è possibile ottenere calore, del “fuoco”, con specchi esposti al Sole. Joseph Needham, nella sua monumentale opera “Science and civilization in China”, cita un trattato denominato Chou Li (Zhouli), scritto intorno al 300 avanti Cristo, in cui sono esposti i compiti dei numerosi funzionari di un molto precedente periodo Zhou. Fra questi, un funzionario era addetto all’accensione del fuoco con specchi ustori. Lo stesso Needham cita che in un classico “trattato della guerra”, un colloquio fra l’imperatore T’ai Tsung (Taizong) e il suo generale Li Ching (Li Jing) vissuto all’inizio del 600 dopo Cristo, è detto che l’esercito deve disporre di specchi per accendere il fuoco col Sole anche durante spedizioni in terre lontane. Lontane radici dell’attuale successo tecnologico cinese nel campo dell’energia solare.

Il Seicento e il Settecento sono stati i secoli in cui è cominciata la rivoluzione scientifica e tecnica: in varie città d’Europa hanno cominciato ad operare studiosi di varia educazione: filosofi ma anche curiosi della natura, matematici e chimici anche attenti a problemi che potevano soddisfare bisogni umani. Questa vasta comunità era in collegamento attraverso lettere, la pubblicazione di libri e delle prime riviste scientifiche; i suoi membri si riunivano periodicamente nelle “accademie” e società scientifiche. Secoli devastati da guerre e controversie politiche e religiose, ma in cui anche crebbe la voglia di arricchirsi con le invenzioni. In alcuni paesi agli inventori cominciarono ad essere assegnati dei brevetti che garantivano il diritto esclusivo di trarre un guadagno dalle loro scoperte.

All’energia solare Giovan Battista Della Porta aveva guardato come una manifestazione delle “magie” della natura, ma adesso un numero crescente di persone cominciò a considerare il Sole e la sua energia come fonte di calore ad alta temperatura, concentrata mediante specchi e lenti, come fonte di energia meccanica mediante macchina in cui un fluido, come l’acqua, si espande dopo essere stato scaldato col Sole, e anche come fonte di calore a bassa temperatura entro scatole coperte con lastre di vetro o nelle serre, anticipando quelli che oggi chiamiamo pannelli solari termici. A queste varie operazioni si dedicarono personaggi che sono noti per molte altre realizzazioni scientifiche.

Già nella seconda metà del Cinquecento il chimico e botanico Adam Lonicer (1528-1586), o Lonitzer, talvolta scritto Lonicier, descrive, nel suo trattato “Krauterbuch”, l’uso del calore solare concentrato con uno specchio per distillare i profumi, la stessa cosa che negli stessi anni aveva suggerito anche Della Porta.

L’interesse per l’energia solare era anche dovuto ad una specie di ossessione di verificare
se fosse vera la leggenda secondo cui Archimede aveva bruciato le navi romane, dall’interno della città di Siracusa, con “il Sole”. Le proprietà delle lenti e delle parabole erano oggetto di studio fra i matematici; fra questi Bonaventura Cavalieri (1598-1647) che nel 1632 pubblicò un libro intitolati: “Lo specchio ustorio overo trattato delle settioni coniche, et alcuni loro mirabili effetti intorno al lume, caldo, freddo, suono, e moto ancora”.

Il fisico francese Salomon de Caus (1576-1626), emigrato nel 1612 in Inghilterra in quanto,protestante, si occupò di specchi e di ottica ed elaborò una teoria relativa all'espansione e alla condensazione del vapore che lo fa considerare un pioniere dell’utilizzo pratico della forza motrice del vapore e delle sue applicazioni pratiche. Nel 1615 de Caus costruì il primo dispositivo che si può considerare un “motore solare”; era costituito da lenti di vetro, poste in un telaio, che concentravano il calore solare su un recipiente sigillato contenente aria e acqua. Durante il riscaldamento la dilatazione dell’aria spingeva all’esterno una parte dell’acqua in forma di graziose fontane che destavano l’ammirazione dei signori del tempo: si trattava di un giocattolo, più che di una macchina utile, ma dimostrava quello che si poteva ottenere col calore solare con concentrazione.

Nel 1634 il francescano Marin Mersenne (1588-1648), matematico, fisico e personalità nota nel campo scientifico, ebbe uno scambio di lettere con il fisico e chimico, anche lui francese, Jean Rey (1853-1645) sulla velocità con cui si riesce a raggiungere la massima temperatura di un corpo scaldato con il calore solare concentrato mediante una lente. Mersenne sosteneva di essere stato in grado di accendere col calore solare un corpo posto nel fuoco di una lente del diametro di trenta centimetri. Nel trattato del 1634, “Questions inouyes” nel 35° problema Mersenne discute della possibilità di costruire uno specchio il cui fuoco si trovi in un punto qualunque, fino all’infinito --- è sempre l’ossessione di verificare se era vera la storia di Archimede --- e sostiene che è possibile purché si trovi un materiale adeguato per la costruzione dello specchio

Poco dopo apparve il “Trattato di chimica” di Nicolas Le Fevre (1615-1669) in cui sono descritti esperimenti di trasformazione dei metalli scaldati in forni solari: “I chimici hanno inventato, scriveva nel 1660 --- altre fonti di calore che non costano niente, come quella del Sole concentrato con specchi ustori, un fuoco magico differente da tutti gli altri che sono distruttivi mentre questo è moltiplicativo”, nel senso che alcuni corpi, trattati in un forno solare, aumentavano di peso, ”fuoco miracoloso, principe di tutte le cose materiali”. Le Fevre costruì una lente del diametro di circa un metro, ottenuta saldando insieme, mediante colla di pesce, due pezzi di vetro concavo e riempiendo di acqua l’intercapedine. Il dispositivo è riprodotto anche nel “Museum Museorum” di Michael Bernhard Valentini (1657-1729), pubblicato a Francoforte nel 1704. L’osservazione che il calore solare concentrato si presta a trasformazioni chimiche, come l’ossidazione di alcuni metalli o la scomposizione di alcuni sali o ossidi, in maniera “più pulita” di quanto fosse possibile con altre fonti di calore, è interessante perché anche in tempi recenti spesso sono stati usati forni solari per condurre reazioni chimiche ad alta temperatura in modo da evitare le contaminazioni che possono verificarsi con altre fonti di calore..

Sull’onda delle osservazioni di Le Fevre si moltiplicarono gli esperimenti sulle applicazioni “chimiche” dell’energia solare concentrata con lenti o specchi, una tecnica che portò alla soluzione di alcuni fondamentali problemi. Fra i numerosi studiosi che operarono in questo campo va ricordato George Louis Leclerc, conte di Buffon (1707-1738) il quale costruì vari forni solari. Mentre in generale gli studiosi utilizzavano specchi parabolici costituiti da un solo materiale, un metallo opportunamente levigato, una tecnica con cui era possibile ottenere specchi di dimensioni limitate, Buffon ebbe l’intuizione di costruire uno specchio a tasselli, costituito da numerosi piccoli specchi piani, fino a 360, disposti su una superficie parabolica. In un primo esperimento, condotto il 10 aprile 1747 nei Giardini del Re di Parigi, Buffon utilizzò un forno costituito da 148 specchi piani, ciascuno di circa 16 x 22 centimetri, con una superficie riflettente complessiva di 2 metri quadrati, montati su un telaio di legno in forma parabolica; l’inclinazione di ciascuno specchio poteva essere aggiustata con delle viti in modo che riflettesse la radiazione solare esattamente nel fuoco della parabola. Gli specchi erano costituti da lastre di vetro ricoperte posteriormente con amalgama di stagno. Buffon riuscì ad accendere della legna a circa 50 metri di distanza e ne concluse che Archimede avrebbe potuto incendiare le vele della flotta romana con uno specchio solare se queste si fossero trovate a circa 30-40 metri di distanza.  Con altri esperimenti Buffon riuscì a far fondere del piombo e dello stagno a circa 40 metri di distanza e dell’argento (la cui temperatura di fusione è 1044°Celsius) a circa 15 metri. Buffon continuò gli esperimenti solari nel 1749-1750 con specchi quadrati di rame lucidato di 12 x 12 centimetri.
Tutto questo aveva destato una frenesia per la costruzione e l’uso di lenti e specchi ustori. Per tutta la seconda metà del Seicento e nel Settecento ci fu una gara internazionale nel costruire specchi ustori per condurre esperimenti, da mostrare e offrire in regalo o vendere ai regnanti, per destare meraviglie nei visitatori. Notizie sugli specchi e sulle lenti ustorie si trovano nelle opere del gesuita Athanasius Kircher (1602-1680) e del suo ammiratore e allievo, il gesuita tedesco Gaspar Schott (1608-1666).
Ehrenfried Walther von Tschirnhaus (1651-1708), dalla nativa Sassonia intraprese un viaggio in Europa per visitare scienziati del tempo e costruttori di specchi ustori. A Parigi vide in funzione e assistette ad esperimenti di fusione di minerali con uno specchio costruito a Lione da François Villette (1621-1698); era probabilmente lo stesso specchio, del diametro di 75 centimetri, che Villette aveva venduto a Luigi XIV (che regnò dal 1643 al 1715) per il Giardino del Re. Tschirnhaus andò poi a Lione a conoscere di persona il famoso costruttore. Continuando il suo viaggio incontrò a Milano il canonico Manfredo Settala (1600-1680) che, in un suo laboratorio a Milano, costruiva specchi ustori che furono esposti nel suo “museo delle meraviglie”, poi in gran parte disperso. Dopo aver incontrato Kirchner a Roma Tschirnhaus tornò in patria e si dedicò lui stesso alla costruzione di specchi e lenti ustori.

Una lente ustoria fu usata a Firenze da Giuseppe Averani (1662-1738) e Cipriano Targioni (1672-1748) per il celebre esperimento del 1694 che mostrò che un diamante, posto nel fuoco della lente, “scompariva” il che apriva le porte alla soluzione del problema della natura del diamante, fino allora ritenuto assolutamente inattaccabile.

Il matematico francese Jacques Cassini (1677-1756), astronomo ufficiale dell’Osservatorio di Parigi, costruì uno specchio solare, per la delizia del re di Francia Luigi XV (che regnò dal 1715 al 1774), riuscendo a ottenere temperature superiori a 1000°. Cassini riuscì a fondere l’argento al punto da renderlo così fluido da scorrere in sottili fili che vennero solidificati per immersione in acqua fredda.

L’utilizzazione dell’energia solare per lo studio di reazioni chimiche ebbe una svolta con il fisico e chimico inglese Joseph Priestley (1733-1804) il quale, nel 1744, usò una lente ustoria per scaldare dell’ossido mercurico e analizzare il gas che si formava durante il riscaldamento; grazie all’energia solare fu così possibile per la prima volta scoprire l’esistenza dell’ossigeno che permise a Priestley di concludere che l’aria non è una sostanza semplice, ma è composta di ossigeno e di altri gas.

La scoperta dell’ossigeno da parte di Priestley fu oggetto di controversie perché negli stessi anni il grande chimico francese Antoine Lavoisier (1743-1794) condusse lo stesso esperimento di decomposizione “solare” dell’ossido mercurico riuscendo anche a misurare la quantità di ossigeno che si liberava. L’esperimento fu possibile con un forno solare costituito da una lente formata da due recipienti di vetro convesso pieni di alcol. Insieme ad una lente solida più piccola il forno raggiungeva la temperatura di 1400°Celsius. Lavoisier riconobbe che la temperatura ottenibile col calore solare era maggiore di quella ottenibile con altre fonti di calore.

Sarebbe troppo lunga, anche se meriterebbe di essere fatta, una rassegna delle tante persone che, nel Settecento, costruirono specchi solari e di quelle che li usarono per i loro esperimenti scientifici. Sta di fatto che in questo secolo esisteva una produzione, ad opera in parte degli scienziati, in parte di artigiani, di specchi solari di diversa natura; talvolta di rame levigato, talvolta rivestiti di sottili strati di oro. Questi specchi venivano prestati da una città all’altra e anche venduti; molti signori si vantavano di possederne e di mostrarne uno e gli esperimenti con specchi solari avvenivano nelle riunioni delle accademie o come spettacoli per le persone colte e curiose. Merita di essere citata la monografia di Carlo Zamparelli, inedita ma pubblicata in due puntate nel sito del Gruppo per la Storia dell’Energia Solare, www.gses.it: la prima parte: http://www.gses.it/pub/specchi1.pdf (già citata) è una breve storia della concentrazione dell’energia solare mediante specchi, da Archimede ai tempi nostri; la seconda parte: http://www.gses.it/pub/specchi2.pdf  è dedicata ad una analisi critica della leggenda degli specchi ustori di Archimede.
Nella metà del Settecento si ha una svolta nella tecnologia solare; fino allora l’energia del Sole era stata utilizzata concentrandola mediante specchi o lenti ustorie per raggiungere quelle elevate temperature che non era allora possibile raggiungere con altri metodi; con lo studioso svizzero Horace Bénédict de Saussure (1740-1799), alpinista, geologo, naturalista, comincia l’era dei collettori solari a bassa temperatura. Partendo dall’osservazione di quanto avviene nelle serre, che cominciavano a diffondersi nei giardini europei, de Saussure nel 1767 descrisse la possibilità di ottenere del calore in un recipiente chiuso, isolato termicamente, coperto da una superficie di vetro. Il calore solare viene intrappolato all’interno del recipiente la cui aria si scalda. E’ il principio degli attuali collettori solari usati per scaldare l’acqua, ma anche l’aria all’interno degli edifici. Più tardi sarebbe stato chiarito che il fenomeno è basato sul fatto che la lastra di vetro trasmette la radiazione solare visibile in entrata, ma non lascia uscire la radiazione infrarossa emessa dall’aria calda interna. Con la sua scatola termica de Saussure osservò che il fondo della scatola raggiungeva una temperatura superiore a 100°C.

Con la fine del Settecento si chiude anche una parte della storia dell’utilizzazione dell’energia solare. L’Ottocento comincia con il perfezionamento delle tecnologie che hanno determinato la rivoluzione industriale. L’uso del carbone, le tecniche di distillazione secca del carbone per ottenere coke per la produzione di acciaio e di gas illuminante in grado di dare luce a strade, sale, teatri, e poco dopo, alle singole case delle città. Contemporaneamente, nei primissimi anni dell’Ottocento, vengono scoperte le virtù dell’elettricità per merito degli italiani Luigi Galvani (1737-1798) e Alessandro Volta (1745-1827). Questa svolta tecnico-scientifica ha stimolato anche l’interesse per l’energia solare: non più solo curiosità scientifica e divertimento per principi e signori, ma vera possibile fonte di energia.

Prima di tutto come fonte di calore al posto del calore prodotto dalla fumosa combustione del carbone. Si trattava di trasferire il calore, raccolto con specchi, a macchine termiche capaci di azionare motori “utili”. 

L’Ottocento è, il secolo delle conquiste coloniali da parte dei regni d’Europa e le colonie si offrivano allo sfruttamento con le loro distese di terre e deserti assolati, prive di carbone, adatte quindi ad accogliere macchine azionate dal Sole.

Sulla scia degli esperimenti condotti nel Settecento, di cui erano circolate le notizie in tutta Europa, si moltiplicarono le invenzioni di macchine solari. Nel 1838 Pasquale Gabelli (1801-1880) di Venezia progettò un forno solare costituito da un riflettore fatto da tanti specchi piani disposti in forma parabolica, nel cui fuoco era posta una caldaia. Trenta anni più tardi Bartolomeo Foratti, anche lui di Venezia, avrebbe progettato, con la collaborazione di Gabelli, un sistema a viti per spostare ciascuno degli specchi della parabola, in moda da “seguire” il Sole nel suo moto apparente nel cielo: sarà questo il problema più intrigante per tutta la tecnologia solare a specchi.

Una importante svolta, sia per l’ingegnosità della soluzione, sia per il rilievo che ebbe nella stampa internazionale, fu rappresentata dal lavoro del francese Augustin Mouchot (1825-1912), un insegnante appassionato che cominciò a costruire dei fornelli solari e nel 1866 realizzò una macchina costituita da un collettore solare tronco-conico che concentrava la radiazione solare su una caldaia: Questo motore solare, che aveva ottenuto l’ammirazione di Napoleone III, andò perduto durante l’assedio di Parigi del 1871. Mouchot costruì molte altre dispositivi alimentati dall’energia solare, fra cui un distillatore d’acqua, descritti nel libro: “La chaleur solaire et ses applications industrielles”, pubblicato nel 1869 e di cui è stata fatta di recente una ristampa. Mouchot trascorse un periodo in Algeria dove costruì fornelli e distillatori solari per le truppe francesi; al ritorno in Francia costruì il più celebre dei suoi motori, alimentato anch’esso col calore solare concentrato con grande specchio tronco-conico, che fu presentato all’Esposizione Universale di Parigi del 1878. Le invenzioni di Mouchot furono descritte in riviste scientifiche e popolari e stimolarono numerosi perfezionamenti. Abel Pifre (1852-1928), che era stato assistente di Mouchot, costruì anche lui una macchina a specchio concavo e la utilizzò per azionare un motore per stampare, esposto al Giardino delle Tuileries nel 1880. Con una potenza di circa mezzo chilowatt riuscì a stampare 500 copie all’ora dell’unica edizione del giornale “Soleil-Journal”.

Dall’altra parte dell’oceano, della fabbricazione di motori solari si occupò l’americano John Ericcson (1803-1889), un fertile inventore che aveva raggiunto la celebrità costruendo la nave da guerra di ferro “Monitor” che aveva avuto un ruolo importante durante la guerra civile americana (1861-1864). Fra il 1871 e il 1884 Ericsson costruì sette differenti modelli di motori alimentati dall’energia solare raccolta mediante specchi. Il motore del 1883 era costituito da una superficie parabolica sui cui erano fissati degli specchi di vetro argentati. Da una superficie di circa 9 m2 ottenne una potenza di 0,7 chilowatt; avendo investito propri soldi nei motori solari, Ericsson fece i suoi conti e riconobbe che l’energia meccanica ottenuta dal Sole sarebbe venuta a costare dieci volte di più di quella ottenuta col carbone e ne concluse che l’uso dei motori solari avrebbe avuto senso soltanto in zone isolate e assolate e prive di altre fonti di energia.

Questi lavori suscitarono l’interesse di molti altri inventori e costruttori e ci fu una proliferazione di tentativi e di brevetti sulle prospettive dell’uso dell’energia solare, soprattutto nei paesi coloniali. Fra questi si possono ricordare gli esperimenti di William Adams, funzionario della corona britannica a Bombay, descritti nel libro: “Solar heat: a substitute for fuel in tropical countries”, pubblicato nel 1878.

Sempre per risolvere il problema di come disporre gli specchi in modo che la radiazione del Sole, “in movimento” nel cielo fosse sempre concentrata nello stesso punto, nel 1884 l’italiano Alessandro Battaglia pensò di appoggiare sul fianco di una collina gli specchi, disposti secondo una parabola nel cui fuoco era messa una caldaia. Ottenne per questa idea, che peraltro non risulta sia stata realizzata, un brevetto, dissepolto dall’oblio dall’ing. Cesare Silvi, presidente del Gruppo per la Storia dell’ Energia Solare.

Con il francese Charles Tellier (1826-1913) si ebbe una importante svolta tecnologica: invece di cercare di ottenere, per concentrazione della radiazione solate, temperature abbastanza alte da azionare macchine a vapore, Tellier, che era un noto specialista di sistemi frigoriferi, costruì dei collettori piani, stazionari, orientati verso Sud, nei quali circolavano fluidi con bassa temperatura di ebollizione, gli stessi già usati nei frigoriferi, come ammoniaca e anidride solforosa. Col ciclo di evaporazione e condensazione Tellier riuscì ad azionare delle macchine adatte a sollevare l’acqua dai pozzi. La sua macchina è illustrata nel libro dello stesso Tellier: “Le conquete pacifique de l’Afrique Occidentale par le Soleil”, del 1890. https://archive.org/details/laconqutepacifi00tellgoog, che già dal titolo volge lo sguardo all’uso dell’energia solare nelle colonie a cui la Francia guardava per il suo futuro..

Finora si è parlato dei mezzi per ottenere energia meccanica dall’energia solate, ma il Sole si prestava anche a risolvere un altro importante problema, la mancanza di acqua dolce in zone in cui era presente acqua di mare o acqua salmastra; su scala planetaria il Sole funziona già da gigantesco distillatore solare, scaldando l’acqua di mare, facendola evaporare e condensare nelle zone fredde dell’atmosfera: l’acqua dolce così condensata ricade al suolo sotto forma di pioggia o neve. Si trattava di riprodurre questo ciclo naturale dell’acqua su piccola scala, in un distillatore solare.

L’idea trovò una prima realizzazione nel deserto assolato e arido cileno di Atacama, a 1400 metri di altezza, dove i minatori scavavano il nitrato di sodio e avevano sul posto soltanto acqua salina. Per ottenere acqua dolce era stato costruito un distillatore alimentato dal carbone che però doveva essere trasportato dalla costa a dorso di mulo, da 120 chilometri di distanza èper cui l’acqua dolce aveva un costo proibitivo. Un ingegnere di origine svedese, Charles Wilson (1832-1901), nel 1872 progettò e costruì un distillatore solare della superficie di 4400 metri quadrati. Il distillatore era costituito da 64 vasche di legno, poco profonde, nelle quali veniva immessa l’acqua salmastra; sulla superficie delle vasche era posta una lastra di vetro inclinata, che chiudeva perfettamente il distillatore. L’energia del Sole, molto intensa a quelle latitudini, passava attraverso la lastra di vetro e scaldava l’acqua salmastra che in parte evaporava. Il vapore acqueo incontrava la superficie interna della lastra di vetro che, essendo a contatto con l’aria esterna, era più fredda dell’acqua salmastra. In questo modo il vapore acqueo si condensava sotto forma di acqua priva di sali che veniva raccolta, a mano a mano che si formava sulle pareti interne della copertura di vetro. La distillazione cominciava alle 10 di mattina e con­tinuava lentamente anche dopo il tramonto, fin verso le 10 di sera. La produzione massima era di 22.000 litri di acqua al giorno, con una produ­zione media di circa 4 litri al giorno per m2 di superficie esposta. Il distillatore di Salinas restò in funzione fino al 1908.

Nel frattempo gli studiosi si erano resi conto che ben altro poteva essere ottenuto dal Sole. Nel 1839 il fisico francese Alexandre Edmond Becquerel (1820-1891), figlio di Antoine Cesar Becquerel (1788-1878), a sua volta padre di Henri Becquerel (1852-1908), quest’ultimo scopritore della radioattività (una generazione di fisici illustri), studiando il passaggio di corrente fra due lamine di platino immerse in una soluzione del cloruro dello stesso metallo, osservò che la corrente aumentava se una delle due lamine era esposta alla luce e l’altra era tenuta al buio. I risultati di questo esperimento furono pubblicati col titolo: “Sugli effetti elettrici della radiazione solare”, nei “Comptes Rendu de l’Académie des Sciences” di Parigi, vol. 9, pagine 561-567 del 4 novembre 1839. Con questi esperimenti nasceva la tecnica di produzione di elettricità direttamente dal Sole.

Contemporaneamente altri avevano scoperto che una corrente elettrica poteva essere generata esponendo alla luce o al Sole delle saldature fra differenti metalli conduttori. Si trattava soltanto di trovare dei materiali adatti. Un passo avanti fu fatto da Willoughby Smith (1828-1891), un impiegato in una fabbrica che produceva la guttaperca, una resina usata per l’isolamento dei cavi elettrici per i collegamenti telegrafici sottomarini. Nelle prove di isolamento dei cavi Smith usò delle barrette di selenio metallico, considerato un cattivo conduttore dell'elettricità e scoprì che le proprietà elettriche del selenio variavano quando era tenuto al buio, rispetto a quando era esposto al Sole. Al buio le barrette di selenio non lasciavano passare l'elettricità e alla luce diventavano, sia pure limitatamente, conduttrici di elettricità. Questo effetto fu pubblicato nel fascicolo di febbraio 1873 della rivista Nature.

Colpiti da questa strana proprietà altri due inglesi, William Grylls Adams (1836-1915, diverso dal William Adams di cui si è citato il libro sui motori solari pubblicato a Bombay) e Richard Evans Day, condussero altri esperimenti e confermarono che nel selenio esposto alla luce si generava una corrente elettrica che cessava quando la superficie di selenio era tenuta al buio; essi chiamarono questo fenomeno "fotoelettricità".

Ormai erano aperte le porte per la produzione di elettricità direttamente dalla luce del Sole. Al fianco di alcune applicazioni commerciali come le celle fotoelettriche per l'apertura e chiusura automatica delle porte o per gli esposimetri delle macchine fotografiche, il selenio fu impiegato per la costruzione delle prime cellule fotovoltaiche solari in senso moderno. L'americano Charles Fritts (1850-1903) realizzò dei pannelli fotovoltaici stendendo un sottile strato di selenio su una lastra di metallo e constatò che producevano una corrente elettrica quando erano esposti sia alla luce solare, sia alla luce artificiale.

Fritts mandò uno dei suoi pannelli fotovoltaici al grande fisico tedesco Werner von Siemens (1816-1892) che ne riferì all'Accademia reale di Prussia e pubblicò nel 1885 un articolo "sulla forza elettrica generata dal selenio esposto alla luce, scoperta dal sig. Fritts di New York". Il cammino per la comprensione del fenomeno delle fotoelettricità era ancora lungo: ci sarebbe voluto Einstein (1879-1955) per spiegare che la luce "contiene" dei fotoni dotati di energia, i quali mettono in moto gli elettroni all'interno di alcuni materiali come il selenio e, si vide in seguito, il silicio e altri ancora.

Quasi contemporaneamente del problema della foto e termoelettricità solare si occupò l’italiano Antonio Pacinotti (1841-1912), quello che, appena diciottenne, aveva scoperto la dinamo, un dispositivo per produrre elettricità dal moto di rotazione di una ruota contenente un conduttore di elettricità. Pacinotti, che sarebbe diventato professore di Fisica all’Università di Pisa, osservò che la corrente elettrica che si formava fra due lastre dello stesso metallo, una tenuta al buio e una esposta alle radiazioni di diversa lunghezza d’onda, era maggiore con la radiazione blu e minore con la radiazione rossa. Pacinotti, appena ventiduenne, pubblicò i risultati dei suoi studi sull’effetto fotoelettrico in due articoli intitolati, “Correnti elettriche generate dal calorico e dalla luce”, pubblicati nel 1863 e nel 1864 nella rivista “Il Nuovo Cimento”. In varie lettere, scritte dal 1863 in avanti, Pacinotti teneva al corrente il padre Luigi dei progressi delle sue ricerche e di varie idee sull’utilizzazione dell’energia solare anche come fonte di calore e per la distillazione dell’acqua. “Carissimo Babbo, scriveva nel 1865, la forza grande della natura sulla Terra, per utilizzare la quale direttamente gli uomini non hanno fatto nulla fino ad ora, ma che pure utilizzandosi parzialmente di per se stessa con i processi naturali è la sorgente di attività sul nostro pianeta, è il calore solare”.

La possibilità di fare i conti sull’efficienza delle macchine solari, a mano a mano che venivano costruite --- quanta energia utile si ottiene per unità di energia solare disponibile --- si ebbe dopo le misure dell’intensità della radiazione solare fatte da Samuel Pierpont Langley (1834-1906) negli anni ottanta dell’Ottocento. Oggi si sa che l’intensità della radiazione solare fuori dall’atmosfera è di circa 8 MJ/m2.ora; quella che arriva sulla superficie terrestre varia da luogo a luogo e si aggira in media intorno a 18 MJ/m2.anno, 1.000.000 EJ/anno sull’intero pianeta. Con queste informazioni si poteva stimare la convenienza economica dell’energia solare rispetto alle altre fonti di energia commerciali: il XIX secolo finiva con una tecnologia solare ormai matura; i principali problemi tecnico-scientifici sono stati capiti e risolti e il Novecento poteva quindi cominciare con la commercializzazione di apparecchi solari e con l’età moderna della nuova, antichissima fonte di energia.

Il XX secolo si apre con la Belle Epoque, con l’esposizione universale di Parigi del 1900, con il trionfo della luce, della scienza, della tecnologia. Una età dell’oro che chiedeva crescenti quantità di energia ottenibile dal carbone, le cui miniere inglesi e tedesche erano sottoposte a intenso sfruttamento, e con il petrolio; si affacciavano timidamente le prime raffinerie che offrivano i carburanti liquidi per le automobili che a loro volta muovevano i primi passi. Le quali potevano anche essere mosse da carburanti di origine agricola, “solari”, quindi; proprio nell’esposizione di Parigi Rudolph Diesel (1858-1913) presentò il suo motore a combustione interna alimentato con olio di arachide; Diesel sostenne che i motori funzionanti con oli vegetali sarebbero stati di grande vantaggio per l’agricoltura e per i paesi in cui si coltivano piante oleaginose.

In questa atmosfera ottimistica molti scienziati guardarono all’energia solare come l’energia per il futuro. Il fisico tedesco Friedrich Kohlrausch (1840-1910) nel libro “Die Energie der Arbeit” del 1900, suggerì che l’elettricità ottenuta concentrando il calore solare su macchine termiche, avrebbe liberato “l’uomo” dalla fatica del lavoro. Nel 1903 il chimico Giacomo Ciamician (1857-1922), tenne la prolusione all’anno accademico dell’Università di Bologna con una conferenza intitolata “La chimica dell’avvenire” .”Il problema dell’impiego dell’energia raggiante del Sole si impone e s’imporrà anche maggiormente in seguito….  Quando un tale sogno fosse realizzato le industrie sarebbero ricondotte ad un ciclo perfetto, a macchine che produrrebbero lavoro colla forza della luce del giorno, che non costa nulla e non paga tasse !”. E altrove: con l’energia solare “i paesi tropicali avrebbero accesso allo sviluppo e la civiltà ritornerebbe così nei paesi in cui è nata.  Se la nostra nera e nervosa civiltà, basata sul carbone, sarà seguita da una civiltà più quieta, basata sull'utilizzazione dell'energia solare, non ne verrà certo un danno al progresso e alla felicità umana”.

Nel 1909 il fisico inglese J.J. Thomson (1856-1940) nella relazione iniziale del Congresso della British Association a Winnipeg, disse che dal Sole un giorno l’umanità avrebbe potuto trarre l’energia necessaria alle sue attività. “Quando verrà questo giorno i nostri centri di attività industriale saranno forse trasportati nei roventi deserti del Sahara”. Ad una auspicabile società solare credevano, quindi, autorevoli scienziati, non solo inventori che pure avevano ottenuto notevoli successi, come mostrò Charles Henry Pope (1841-1918) nel libro intitolato: “Solar heat. Its practical applications”, pubblicato nel 1903.

Secondo la strada tracciata da Auguste Mouchot (1825-1912), di cui si è parlato nella puntata precedente, Aubrey Eneas (1860-1920), un inglese immigrato negli Stati Uniti, costruì in Arizona una macchina a vapore alimentata con il calore solare concentrato mediante un grande paraboloide, del diametro di dieci metri, contenente 1788 specchi di piccole dimensioni che concentravano il calore solare su una caldaia. Appena il dispositivo era orientato verso il Sole l’acqua cominciava a bollire, il tutto “di bell’aspetto e decisamente brillante”, utile per sollevare l’acqua per l’irrigazione. “Senza bisogno di combustibili ed economica”, come lo descrisse entusiasticamente il giornale locale “Arizona Republican”, nel suo numero del 14 febbraio 1901. Nella speranza di qualche successo commerciale Eneas creò una piccola azienda, la Solar Motor Company, che fallì però dopo breve tempo.

Poco dopo molto effetto fece la notizia di una macchina termica, costruita nel 1912 in Egitto dall’americano Frank Schuman (1862-1918). Rispetto ai precedenti sistemi a specchi parabolici, Schuman usò degli specchi cilindro-parabolici nel cui fuoco era posto un tubo contenenti l’acqua da far evaporare. La macchina forniva 50 chilowatt sufficienti per alimentare un sistema di irrigazione. Per sfruttare la sua invenzione Schuman creò una società, la Sun Power Company, anche quella con limitato successo commerciale.

Il problema più grave dei sistemi solari a specchi era l’intermittenza della disponibilità della radiazione solare. Un americano di Boston, M.L.Severy, propose allora in vari brevetti, all’inizio del Novecento, di usare il calore solare, raccolto mediante specchi, per sollevare l’acqua in un serbatoio elevato; la discesa dell’acqua dal serbatoio avrebbe potuto azionare una piccola turbina con cui sarebbe stato possibile avere energia anche di notte.

I collettori solari a specchi, con concentrazione, avevano (ed hanno tuttora) comunque altri due inconvenienti. Gli specchi devono essere continuamente tenuti in movimento per “seguire” il Sole nel suo moto apparente nel cielo, variabile di giorno in giorno, e possono utilizzare soltanto la radiazione diretta, quella disponibile quando il cielo è sereno, il che è maggiormente frequente alle basse latitudini ma, in altre condizioni geografiche, rappresenta soltanto una frazione della radiazione solare totale. Le difficoltà potevano essere superate mediante collettori piani; il francese Charles Tellier (1828-1913) li aveva già adottati per le sue macchine solari. La radiazione solare veniva fatta arrivare su una superficie metallica, isolata termicamente e contenente acqua, rivestita di una lastra di vetro che trattiene la radiazione solare, sia diretta, sia diffusa; in questo modo era possibile scaldare l’acqua a temperature fino a circa 80-90 gradi. Con questa acqua calda era possibile far evaporare un fluido frigorifero come ammoniaca o anidride solforosa liquide, e sfruttare il loro vapore per azionare un motore.

Sullo stesso principio gli americani H.E. Willsie e John Boyle Jr. costruirono dei collettori solari piani; l’acqua così scaldata veniva trasferita in un serbatoio isolato da cui era prelavata; per far funzionare un motore ad anidride solforosa ”giorno-e-notte”. Nel 1904 Willsie costruì due motori, uno da 5 chilowatt a St.Louis nel Missouri e uno da 11 chilowatt a Needles, in California. L’idea era ingegnosa ma i potenziali clienti erano dubbiosi e anche la loro ditta, Sun Power Company, come altre del periodo, scomparve. Di Willsie e Boyle rimane il ricordo in una lapide a Ollney, Illinois, dove fu realizzato il loro primo motore.

Più semplice era la soluzione di usare i collettori piani per offrire direttamente acqua calda per usi domestici. Vari inventori, fra cui Clarence Kemp (morto nel 1911), costruirono e offrirono dei collettori solari piani, costituti da una vasca o scatola poco profonda, chiusa superiormente da una lastra di vetro, contenente una piastra metallica e una tubazione in cui circolava l’acqua; l’acqua scendeva da un serbatoio sopraelevato, veniva scaldata nella tubazione esposta al Sole e risaliva per effetto termosifone nel serbatoio da cui poteva essere prelevata per usi di cucina o di bagni anche di notte. In questo modo era possibile risparmiare le spese del carbone o dell’elettricità. Kemp costituì una società chiamata Climax che ebbe anche un certo successo commerciale. Qualche successo ebbe anche la ditta Day and Night Solar Heater Co. costituita nel 1909 da William J. Bailey per vendere simili collettori solari. Insomma degli scaldacqua simili a quelli che vengono venduti ancora oggi

Dopo la parentesi della I guerra mondiale si ebbe, negli anni venti e trenta del Novecento, una certa ripresa dell’interesse per l’energia solare. Nella puntata precedente si è ricordato il grande distillatore solare costruito nel Cile da Wilson. L’idea di ottenere acqua dolce dal mare col calore solare aveva sollecitato molti altri inventori, soprattutto in vista dell’approvvigionamento di acqua potabile nei paesi aridi; distillatori solari sono stati costruiti dai francesi Richard e da Augustine Boutaric in Algeria, dall’italiano Guido La Parola (1899-1961) in Libia; in tutti i casi si trattava di vasche poco profonde rivestite da una lastra di vetro, isolate tutto intorno; il calore solare provocava l’evaporazione dell’acqua dalla soluzione salina e il vapore di acqua priva di sali condensava sulle pareti interne del vetro del distillatore e veniva avviata ad un serbatoio esterno. La produzione di acqua dolce variava fra 4 e 6 litri al giorno per ogni metro quadrato di superficie del distillatore.

Negli stessi anni trenta vi fu un vivace interesse per l’energia solare nell’Unione Sovietica; il fisico B.P.Veinberg creò una stazione sperimentale a Tashkent, nella Repubblica sovietica Uzbeka (oggi Uzbekistan) dove si formò un gruppo di studiosi che costruirono motori solari, frigoriferi solari, distillatori solari, soprattutto in vista dell’uso nelle zone asiatiche dell’URSS. Fra tali studiosi si possono ricordare il figlio dello stesso Veinberg, Vsovolod Borisovich, e Valentin Baum (1904-1980) che divenne ben noto internazionalmente dopo la II guerra mondiale. Le pubblicazioni degli studiosi sovietici, purtroppo difficilmente accessibili, meriterebbero maggiore attenzione.

Negli anni trenta sono state costruite varie “case solari” nelle quali il calore invernale era fornito dall’acqua scaldata entro pannelli solari piani; la più ingegnosa fu progettata presso il Massachusetts Institute of Technology da Maria Telkes (1900-1995), una chimica di origine ungherese. Per la conservazione del calore solare raccolto di giorno e renderlo disponibile di notte la dott. Telkes suggerì di far circolare l’acqua scaldata dai collettori solari, attraverso dei fusti contenenti solfato di sodio decaidrato, un sale che fonde a circa 32 gradi assorbendo circa 250 kJ per kg. Nella notte il sale solidificava di nuovo cedendo calore alle stanze.

La dott. Telkes, condusse ricerche sulla produzione di elettricità mediante riscaldamento solare delle saldature di speciali metalli, per effetto termoelettrico, e progettò un distillatore solare galleggiante di plastica da distribuire agli aviatori americani durante la II guerra mondiale; se un aviatore veniva abbattuto in mezzo al mare e si salvava su una zattera, col Sole poteva distillare un po’ di acqua potabile dal mare. Il distillatore era una specie di pallone di plastica trasparente al cui interno era steso un materiale poroso da impregnare di acqua di mare. Il pallone era poi chiuso; il vapore acqueo formato dal Sole condensava sulla parete a contatto con l’acqua di mare fredda e forniva qualche litro di acqua dolce al giorno. Molte vite sono state salvate con questa invenzione solare.

Alla fine della seconda guerra mondiale erano ormai disponibili tutte le conoscenze per sperare in un futuro basato sull’energia solare. Nel 1954 un gruppo di imprenditori dell’Arizona costituì una Association for Applied Solar Energy (divenuta poco dopo Solar Energy Society) che tenne un convegno e una mostra a Tucson e a Tempe in Arizona e che fu uno dei più grandi stimoli per l’utilizzazione dell’energia del Sole.

Una importante svolta si ebbe quando, nello stesso 1954, Daryl Chapin (1906-1995) e altri descrissero la possibilità di trasformare sottili strati di silicio in semiconduttori capaci di produrre elettricità dal Sole con rendimento del 6 %, un rendimento divenuto già del 14 % nel 1960. Il quotidiano New York Times salutò la scoperta come “l’inizio di una nuova era”. Le prime utilizzazioni delle celle fotovoltaiche, a partire dal 1958, furono per la produzione di elettricità solare a bordo dei satelliti artificiali ma altre applicazioni non tardarono: le celle fotovoltaiche potevano fornire elettricità per azionare una radio o un frigorifero in zone isolate; nel 1960 l’americano Charles Escoffery (1917-2013) modificò un’automobile elettrica Baker del 1912 ponendo sul tetto 7 metri quadrati di celle fotovoltaiche; che caricavano le batterie. Dopo 8 ore di esposizione al Sole. l’auto poteva camminare per un’ora raggiungendo i 30 km/ora. L’auto solare fu presentata in molte città del mondo, fra cui Roma, e fu il prototipo di tutte le automobili solari costruite nei decenni successivi.

Le celle fotovoltaiche al silicio hanno l’inconveniente che utilizzano soltanto la parte visibile della radiazione solare, circa la metà della radiazione totale; la radiazione non utilizzata viene dissipata sotto forma di calore. Molti altri semiconduttori sono stati tentati; qualche successo si è avuto con sali di cadmio, tellurio e qualche altro metallo e il campo è continuamente aperto

Gli anni cinquanta furono una nuova età dell’oro dell’energia solare; le prospettive di un impoverimento delle riserve di petrolio, gli ancora incerti passi della produzione di elettricità con centrali nucleari commerciali, spinsero di nuovo alla ricerca di energia dalle fonti legate al Sole, continuamente rinnovabili. Calore solare a bassa e ad alta temperatura, per far funzionare motori e pompe; riscaldamento dell’acqua per usi igienici e domestici con pannelli solari; fornelli solari da cucina; elettricità con celle fotovoltaiche; distillazione solare per ottenere acqua dolce dal mare. E ancora: utilizzazione dell’energia del vento, anche lei figlia del Sole che provoca le differenze di temperatura fra le varie parti delle terre emerse e degli oceani, e del moto ondoso, anche lui derivato dal vento; possibilità di ottenere energia da alghe “coltivate” in vasche solari, da prodotti e sottoprodotti agricoli, “fabbricati” dal Sole con la fotosintesi; una migliore utilizzazione delle forze “contenute” nelle acque quando, nel ciclo dell’acqua tenuto in moto dal Sole, superano dei dislivelli.

Tutte queste possibilità furono sperimentate e utilizzate e descritte in centinaia di pubblicazioni di quel decennio. Una vasta documentazione sulla storia delle tecnologie solari si trova nel sito del Museo dell’Industrie e del Lavoro di Brescia www.musilbrescia.it, e un’ampia collezione di immagini solari storiche si trova in: http://www.musilbrescia.it/documentazione/elenco_immagini_slideshow_fondo.asp?sezione=archivio&idfondo=119&id=27&paginazione=undefined&pagina=1&paginamostre=undefined&filtro=undefined&ordine=undefined.

Un bilancio delle prospettive delle “nuove” fonti di energia si ebbe in una grande conferenza organizzata a Roma dalle Nazioni Unite nell’agosto 1961. I molti volumi degli atti di questa conferenza (purtroppo una rarità bibliografica) mostrano bene lo stato delle tecnologie legate al Sole; con quella conferenza si può considerare conclusa la “storia” dell’energia solare; quella che segue è cronaca di applicazioni e perfezionamenti di cose note. Con successi commerciali ed economici, sia pure in un campo limitato delle applicazioni, soprattutto fotovoltaico e eolico. La storia mostra invece che molte soluzioni sono state dimenticate; segnate da insuccessi quando sono state proposte, potrebbero resuscitare con le nuove conoscenze tecnico-scientifiche, con l’uso di nuovi materiali, in diverse condizioni di rapporti internazionali e con l’attenzione rivolta ai fabbisogni energetici dei paesi poveri nei quali il Sole è l’unica fonte energetica disponibile. Buon lavoro per chi vorrà occuparsene.

  

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