Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
L’alcol etilico come carburante del domani ? Davanti al continuo aumento del prezzo del petrolio uno sarebbe portato a ritenere che valga la pena considerare la possibilità di ottenere un carburante per autotrazione da materie vegetali, zuccheri, amidi, lignine, cellulose, ecc. che la natura fabbrica ogni anno con i suoi cicli naturali, alimentati dall’energia solare, materie, come si dice, “rinnovabili”. Invece in questi anni le prospettive dell’alcol carburante (chiamato in maniera accattivante “bioetanolo”) sono state messe in discussione con grande vivacità anche da persone che, in via di principio, contestano la dipendenza dal petrolio, sostengono le alternative all’esaurimento delle riserve di combustibili fossili, e le iniziative per diminuire l’inquinamento atmosferico e per attenuare i relativi mutamenti climatici, associati al crescente uso di combustibili fossili.
Perchè l’alcol carburante non piace?
Che l’alcol carburante non piaccia all’industria petrolifera è abbastanza naturale perché il suo uso erode una parte, anche se piccola, del mercato della benzina che è il principale profittevole prodotto della raffinazione del petrolio. Inoltre la diffusione dell’alcol carburante comporta (comporterebbe) dei disturbi nella fase di distribuzione della benzina (la cui qualità merceologica è ora unificata). Nel caso in cui venissero messe in commercio delle miscele di benzina e alcol etilico dovrebbero essere predisposti nuovi distributori e speciali cisterne.
Esistono due qualità merceologiche di alcol etilico: la distillazione delle soluzioni acquose, contenenti appena il 10 % di alcol, che si formano durante la fermentazione, fornisce alcol etilico a 95 gradi, contenente ancora circa il 5 % di acqua; questo tipo di alcol è miscelabile con la benzina soltanto in proporzione non superiore al 5 % (5 % di alcol e 95 % di benzina). La presenza anche accidentale di acqua, anche in piccole quantità, nella miscela comporta la separazione di uno strato di alcol e di uno strato di benzina, a meno che non venga aggiunto un “terzo solvente” come alcol butilico o altri. L’alcol etilico è miscelabile con la benzina praticamente in tutte le proporzioni soltanto se è privo di acqua (alcol assoluto), ottenuto dall’alcol a 95 gradi con un processo di disidratazione che richiede speciali impianti e (piccole quantità di) energia.
Negli Stati Uniti e in altri paesi vengono ormai vendute miscele contenenti l’85 % di alcol etilico col 15 % di benzina (la cosiddetta E85), con le quali si attenuano alcuni disturbi motoristici dell’alcol puro. E’ possibile produrre motori funzionanti con solo alcol, ma questo disturba sia la fase di distribuzione sia l’industria automobilistica (anche se alcune grandi compagnie automobilistiche hanno prodotto per anni automobili funzionanti ad alcol vendute in Brasile). L’unica breve simpatia dell’industria petrolifera per l’alcol etilico si è avuta quando è stato proposto di usarlo per la preparazione dell’ETBE (un etere dell’alcol butilico terziario di origine petrolchimica), poi abbandonato.
All’industria automobilistica l’alcol carburante non piace, proprio perché richiede modificazioni di cicli produttivi ormai consolidati, i cui mutamenti comporterebbero dei costi che potrebbero essere accettati soltanto se ci fossero sovvenzioni statali nel nome di ragioni “ecologiche”, oppure leggi statali che imponessero l’impiego di alcol etilico (come è appunto avvenuto in Brasile). Comunque tutti i problemi motoristici (serbatoi, carburazione, tubazioni, eccetera) associati all’uso di miscele di alcol e benzina sono noti e hanno una soluzione.
Le principali contestazioni dell’alcol carburante.
1) Non è vero, dicono i critici, che l‘impiego dell’alcol carburante permette di consumare di meno combustibili fossili; l’intero ciclo produttivo – preparazione, concimazione e coltivazione dei terreni, raccolta dei prodotti agricoli, separazione delle materie zuccherine (canna da zucchero o barbabietola da zucchero), amidacee (mais e altri cereali, patate, eccetera), fermentazione degli zuccheri, distillazione dell’alcol, trasformazione dell’alcol greggio in alcol assoluto – richiede combustibili e elettricità; se questi sono ottenuti da prodotti fossili, può risultare superiore al contenuto energetico dell’alcol carburante, anche considerando che l’alcol ha un potere calorifico (circa 28 MJ/kg, circa 22 MJ per litro) inferiore a quello della benzina (circa 44 MJ/kg, circa 32 MJ/litro). Occorrono quindi 1,5-1,6 chili o litri di alcol carburante per avere lo stesso effetto energetico di un chilo o un litro di benzina.
La letteratura è piena di “dettagliate” analisi della contabilità dei flussi energetici del ciclo natura-alcol, quelle che si chiamano le analisi del ciclo vitale, dalla-culla-alla-tomba, dell’alcol carburante. I risultati sono diversissimi e del tutto contrastanti a seconda di quello che ciascuno studioso “voleva” dimostrare, soprattutto sono diversi a seconda dei confini del ciclo, da quale parte si comincia e quali materie, trattamenti del suolo, concimi e antiparassitari vengono presi in considerazione, e dipendono dalla tecnologia dei processi, continuamente modificati e perfezionati. Il professore americano David Pimentel da un quarto di secolo (cfr. Journal of Agricultural and Environmental Ethics, vol. 4, no. 1, pp. 1-13, 1991, e molti lavori successivi) è uno degli ascoltati sostenitori della non-convenienza energetica dell’alcol carburante.
Trasformare carboidrati di origine vegetale in alcol etilico comporta dei consumi di energia, che peraltro in parte possono essere compensati dall’uso del contenuto energetico di alcuni sottoprodotti del ciclo. Nel caso del trattamento di materiali lignocellulosici la lignina (circa il 30-40 della biomassa) fornisce calore sufficiente per l’intero ciclo di trasformazione dei carboidrati della cellulosa in alcol carburante. Inoltre i consumi di calore, soprattutto nella fase di concentrazione dell’alcol dalle soluzioni diluite in cui si forma durante la fermentazione, possono essere diminuiti con adatti accorgimenti, ad esempio con l’estrazione dell’alcol dalle soluzioni diluite con il cloruro di metilene, riciclabile.
2) Non è vero – dicono ancora i critici – che l’uso di alcol carburante permette di evitare l’effetto serra, dovuto, come è ben noto, all’aumento della concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Una critica zoppicante: il ciclo agronomico delle piante da alcol è basato sulla fotosintesi che consiste nella sottrazione di anidride carbonica dall’atmosfera. Consideriamo il ciclo più breve possibile; la “fabbricazione” per fotosintesi dei carboidrati, la cui composizione schematizziamo in [CH2O] richiede 44 kg di anidride carbonica per 30 kg di “biomassa” [CH2O]. Dalla fermentazione (un processo biologico) di 180 kg di biomassa [6 CH2O] (che hanno richiesto 6 × 44 = 264 kg di CO2), si ottengono 96 kg di alcol etilico e 88 kg di anidride carbonica (sottoprodotto della fermentazione). Quando i 96 kg di alcol etilico
vengono bruciati per produrre energia nel motore, si liberano 186 kg di anidride carbonica.
Le fasi di produzione e combustione dell’alcol etilico comportano, quindi, l’immissione nell’atmosfera di 88 + 186, cioè 264 kg di CO2, esattamente la stessa quantità (6 × 44) che era stata sottratta dall’atmosfera nel ciclo di produzione fotosintetica della biomassa. Questo autorizza a dire che l’uso dell’alcol carburante (ma lo stesso discorso vale anche per qualsiasi altro combustibile derivato dalla biomassa) permette di ottenere energia senza far aumentare la concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera e senza contribuire all’effetto serra.
I conti sono alquanto più complicati perché qualsiasi carboidrato fermentescibile ad alcol etilico viene prodotto insieme a radici e foglie e steli e grassi e proteine, eccetera, che anche loro assorbono anidride carbonica dall’atmosfera e che restituiscono all’atmosfera la stessa CO2 nei cicli di combustione, decomposizione, putrefazione, digestione, eccetera. I critici osservano che anche la produzione dei concimi o dei pesticidi e la combustione dei carburanti fossili dei trattori o dei camion o delle centrali che forniscono l’elettricità o dei distillatori, provocano l’immissione nell’atmosfera di CO2 addizionale e quindi il ciclo della CO2 risulta negativo; tale bilancio negativo lo è di meno (o per niente) se, come combustibili del ciclo, si usano sottoprodotti vegetali.
3) La produzione di alcol carburante ha effetti ecologici devastanti, sostengono ancora i suoi detrattori. Se per produrre alcol carburante si utilizzano coltivazioni intensive di canna da zucchero o di mais, per tenere bassi i costi di produzione, e se tali coltivazioni avvengono in terreni che erano coperti da foreste, certamente si accelerano fenomeni di erosione del suolo, ma sono proprio queste materie prime che non devono essere utilizzate.
4) I prodotti agricoli adatti per l’ottenimento di alcol carburante sono spesso – rilevano i critici dell’alcol carburante – prodotti di importanza alimentare: mais, altri cereali, patate, altri tuberi. La crescente richiesta di materie prime per la produzione di alcol carburante spinge molti agricoltori a intensificare la produzione di queste materie prime, anche ricorrendo a specie geneticamente modificate.
Così da una parte aumenta lo sfruttamento dei terreni e l’impoverimento della loro fertilità e si ha un crescente impiego di concimi e antiparassitari, dall’altra si fa aumentare il prezzo dei cereali e si rende più difficile l’approvvigionamento di alimenti nei paesi poveri. Si affamano così i poveri per far continuare a correre le automobili degli abitanti dei paesi ricchi. Il “pieno” di carburante di un SUV richiederebbe – ha calcolato l’ascoltato “ecologo” Lester Brown – una quantità di alcol così grande che con le sue materie prime agricole si potrebbe sfamare per un anno una persona. Parole di fuoco contro il genocidio alimentare provocato dai carburanti di origine agricola aveva proununciato anche Fidel Castro.
5) E poi – ribattono ancora i detrattori dell’alcol carburante – dove prendere dei terreni da coltivare a piante energetiche in grado di soddisfare la crescente domanda, nei paesi industriali e in quelli emergenti, di carburanti per autotrazione ? Nel caso della sostituzione della benzina con alcol carburante, se si ricorre a coltivazioni di mais, con una resa, peraltro molto alta, di 100 quintali di granella per ettaro, e se si considera una resa di alcol carburante di un paio di tonnellate per ettaro (anche questa alta), occorrerebbe coltivare una diecina di milioni di ettari (sui 30 milioni di ettari della superficie italiana) per ottenere circa dieci milioni di tonnellate di mais da trasformare in tutto l’alcol necessario per sostituire la richiesta di benzina (nel 2011 10 milioni di tonnellate all’anno, anche se in continua diminuzione, per la sostituzione con gasolio diesel). A tale consumo di benzina vanno aggiunti i consumi di gasolio (nel 2011 26 milioni di tonnellate in continuo aumento), che peraltro possono essere sostituiti con altri carburanti di origine agricola diversi dall’alcol etilico.
Considerando che la produzione italiana di mais è di circa un milione di tonnellate all’anno, a cui si aggiungono circa 0,12 milioni di tonnellate all’anno di importazione, il mais aggiuntivo per la produzione di alcol carburante comporterebbe un forte aumento delle importazioni, da paesi che dovrebbero privarsi – sostengono giustamente i critici – del mais necessario per la loro alimentazione per venderlo all’estero. Inoltre la tendenza al crescente uso di alcol carburante farebbe aumentare i prezzi internazionali del mais e di altri cereali, colpendo i ceti più poveri e i paesi più poveri.
Incoraggiare l’uso dell’alcol carburante, hanno scritto molti commentatori, farebbe aumentare il prezzo della pasta, della carne (di animali che si nutrono di mais), eccetera. E ancora: se gli Stati Uniti usassero tutto il mais prodotto nel paese, l’alcol così ottenuto permetterebbe di sostituire soltanto poco più del 10 % della benzina consumata ogni anno. Gli stizzosi attacchi all’alcol carburante si sono fatti più vivaci in seguito alla notizia di accordi che gli Stati Uniti hanno stretto con il Brasile per spingerlo a produrre crescenti quantità di mais o di canna da zucchero da destinare alla produzione di alcol carburante da esportare negli Stati Uniti. E’ stato facile pensare che l’amore per l’alcol carburante nasconda imbrogli e speculazioni a danni dell’Europa e dei poveri. E imbrogli sono davvero possibili perché l’alternativa ai carburanti petroliferi e l’attenuazione dell’effetto serra non possono essere ottenuti con l’alcol carburante da mais o da colture che provocano erosione o inquinamento o distruzione delle foreste.
L’impiego di zuccheri di barbabietola potrebbe avere senso soltanto nelle zone in cui esiste una bieticoltura in crisi e in cui la sopravvivenza della bieticoltura (e di qualche zuccherificio) potrebbe assicurare occupazione, almeno per qualche tempo, e l’alcol potrebbe essere prodotto con un ciclo che parte direttamente dal sugo leggero.
Il futuro dell’alcol carburante
Piuttosto che da zuccheri o da amido di cereali l’alcol carburante può opportunamente essere prodotto, con tecniche note e disponibili, da materiali lignocellulosici come residui di legno, sottoprodotti agricoli, addirittura una frazione della carta straccia (che è già cellulosa priva di lignina) che non viene riciclata, eccetera.
Il futuro dell’alcol carburante è possibile soltanto da un accurato inventario dei sottoprodotti agricoli che attualmente sono inutilizzati o vanno ad alimentare il ciclo dei rifiuti e che potrebbero fornire materie fermentescibili, comprese le eccedenze invendute di uva e di vino. Sorprende il silenzio degli agricoltori che trarrebbero reali vantaggi di lavoro e di occupazione dalla diffusione di nuovi cicli produttivi agroindustriali orientati alla produzione dalla biomassa di carburanti alternativi a quelli petroliferi. Carburanti, va ricordato, che ritornano disponibili ogni anno perché legati al ciclo della fotosintesi, per cui le attività agricole e forestali vengono ad alimentare dei veri e propri “pozzi energetici” inesauribili, da cui ottenere fonti energetiche rinnovabili.
A favore dell’uso dell’alcol carburante va detto che l’alcol etilico ha un numero di ottano più elevato di quello della benzina “verde” e quindi la sua miscelazione con la benzina permette di ottenere carburanti con elevato numero di ottano con minori additivi (come idrocarburi aromatici), essendo l’alcol stesso un antidetonante. Inoltre durante la combustione dell’alcol etilico nel motore a scoppio si formano sostanze inquinanti in quantità minore e meno nocive rispetto alla benzina.
L’uso dell’alcol etilico aiuta l’agricoltura soprattutto nelle zone meno favorite, dove non è conveniente o possibile la produzione su larga scala di prodotti alimentari e dove sono invece disponibili materiali lignocellulosici. Inoltre alcune operazioni del ciclo possono essere svolte localmente con la creazione di attività agroindustriali decentrate e con benefici per la difesa del suolo. Accenno soltanto alla possibilità di utilizzare legno di ginestre e robinie che crescono spontanee anche in zone ostili alle altre colture, sono piante leguminose e quindi non hanno bisogno di concimi, e consolidano il terreno frenando l’erosione. (Avevo scritto le stesse cose nel Bollettino di Italia Nostra 136/137, 1976 e in Sapere, settembre 1976).
La transizione alle fonti rinnovabili è in atto ed è irreversibile per i problemi di scarsità e di alterazione ambientale e richiede innovazioni nei mezzi di trasporto, nelle automobili, nei trasporti di carburanti che finora si svolgono dai porti costieri all’interno e che forse in futuro andranno dalle zone interne di produzione di biomasse e di alcol verso le aree dove è maggiore il consumo.
Ci sono molti altri problemi tecnici, scientifici ed economici da risolvere, dalle modificazioni motoristiche imposte dalla volatilità, dalla stabilità delle miscele con idrocarburi, dall’attitudine alla corrosione e dalle altre caratteristiche chimico-fisiche dell’alcol etilico, alle prospettive di uso dell’alcol butilico di fermentazione al posto dell’alcol etilico, eccetera. Un discorso del tutto a parte riguarda la possibilità di usare grassi vegetali o animali e loro derivati come esteri degli acidi grassi, come carburanti per motori diesel (chiamati “biodiesel”). Un governo attento al futuro e non alle chiacchiere farebbe bene a far condurre uno studio critico sulle prospettive – positive e negative – della transizione dai prodotti petroliferi ai carburanti ottenuti dalla biomassa, con tutte le sue conseguenze di carattere ambientale, di costo energetico e di acqua, di decentramento territoriale, di sviluppo delle aree meno favorite, compreso il Mezzogiorno, di crescita di una cultura chimica, industriale e merceologica, eccetera.
In conclusione
In tale studio suggerirei di mobilitare anche storici dell’industria, del petrolio e dell’automobile; citerò soltanto il fondamentale (e ormai rarissimo) testo di Giorgio Meloni, “L’industria dell’alcole”, Milano, Hoepli, 1952-1958, tre grossi volumi, e le ricerche del prof. Bill Kovarik sull’alcol “carburante del futuro” (cfr.: H. Bernton, William Kovarik e S. Sklar , “The forbidden fuel.Power alcohol in the twentieth century”, New York, Boyd Griffin, 1982, e molte altre ricerche.
Niente è gratis nella vita e le società del futuro dovranno scegliere fra continuare nell’uso di automobili sempre più potenti e perfette e numerose alimentate con combustibili fossili, nell’uso di crescenti quantità di merci e prodotti e nel conseguente crescente inquinamento e con irreversibili mutamenti climatici e costi monetari crescenti, oppure cambiare verso carburanti basati su fonti rinnovabili, verso nuovi mezzi di trasporto, verso nuovi modi di distribuzione della popolazione nelle città e nel territorio. E’ pura illusione pensare di fermare l’aumento della concentrazione atmosferica di gas serra o lo svuotamento delle riserve di combustibili fossili; lo si può solo rallentare e più presto lo si farà, minori saranno gli inevitabili costi ambientali, monetari e di conflitti.
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